Avevamo iniziato a leggere le sue poesie, stringate ed asciutte, da buon friulano. In più avevamo avuto l’occasione di seguire un filmato televisivo che ci ha fatto seguire passo passo un breve tratto della sua vita: le sue giornate passate a scrivere, le conversazioni con i suoi amici –letterati e no- intorno ad una buona tavola, le sue letture che si concludevano con un tranquillo volo verso terra dei fogli usati per scrivere le sue poesie.
Insieme a questo la sua sfida: costretto alla sedia a rotelle dall’età di sedici anni, a causa di un incidente stradale, nonostante numerose operazioni non era riuscito a cambiare la sua condizione di immobilità, ma senza da questo far discendere una sua resa.
Come scrive Maurizio Crosetti (1), aveva trascorso più di dieci anni “in una baracca del terremoto a Tricesimo, Udine, un prefabbricato donato dall’Austria al Friuli dopo l’ecatombe del 1976. Tra scatoloni, fotografie, matite, sigarette e bottiglie veniva ogni tanto un topo a farsi una passeggiata, oppure uno scroscio di pioggia dal tetto che non teneva più…Una vita grama, nessuno può campare di poesia, neppure un Premio Viareggio come Pierluigi: 700 euro al mese di pensione d’invalidità, i gettoni di qualche serata di letture, un po’ di lezioni ma poche perché il suo corpo si affaticava presto, e ogni spostamento richiedeva la mobilitazione di tanti amici…”.
Della sua poesia Crosetti ne dà questa sintesi significativa: “ Parola dialogica, parola di scavo e d’incanto quella di Cappello, lo stesso dei bambini che prendono in mano i colori. “Giù, nel piccolo pugno, il pastello teneva/finestre aperte su un cielo grande,/lontano da noi.” Ma nessuna romanticheria, nessuna concessione alla fragilità del corpo che da dentro grida. “Il poeta non scrive della rosa ma di questa rosa, delle sue sfumature, della sua breve durata”. Considerava il dialetto “un modo per allargare la tastiera, un più ricco registro espressivo e un’occasione di convivenza troppo spesso sprecata”. Dopo anni trascorsi a modellare la creta dei versi con le mani, Pierluigi si era cimentato anche con la narrativa e il suo sguardo era sempre pieno di stupefatto nitore, un ramo puntava l’azzurro del cielo e subito il pianto lo bagnava. “Ci si sfila dal mondo così,/come da un vestito stanco delle feste,/quando viene la sera”.
Gemona “Le prime luci” – foto di Tommaso Gallina
Di seguito un invito alla lettura di alcune sue poesie.
Da lontano
Qualche volta, piano piano, quando la notte
si raccoglie sulle nostre fronti e si riempie di silenzio,
e non c’è più posto per le parole
e a poco a poco si raddensa una dolcezza intorno
come una perla intorno al singolo grano di sabbia,
una lettera alla volta pronunciamo un nome amato
per comporre la sua figura; allora la notte diventa cielo
nella nostra bocca, e il nome amato un pane caldo, spezzato.
da Azzurro elementare, Poesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013.
Cercli (cerchio)
Plan ch’e si poi la gnot cence sunsûr
scrivint di scûr la pagjine dai siums
cun man plui lizere dal sofli di diu;
ch’al alci il sium coronis di dolçôr
e che ti dedi la fuarce dal freit,
il polvar e il glaç dal voli de lune;
achì, dentri la gnot ch’e si consume,
cun mancul fuarce di prime doi vôi
l’olme davûr doman la cjalaràn denant.
Cerchio
Venga la notte e si posi piano e senza rumore / scrivendo di buio la pagina dei sogni / con mano più leggera del soffio di dio; // che il sogno alzi corone di dolcezza /e che ti porga la forza del freddo, / la polvere e il ghiaccio dell’occhio della luna; // qui, dentro la notte che si consuma, / con meno forza di prima due occhi / l’orma che avevano dietro domani la guarderanno davanti.
da Azzurro elementare, Poesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013.
Piove
Piove, e se piovesse per sempre
sarebbe questa tua carezza lunga
che si ferma sul petto, le tempie;
eccoci, luccicante sorella,
nel cerchio del tempo buono, nell’ora
indovinata
stiamo noi, due sguardi versati in un corpo,
uno stare senza dimora
che ci fa intangibili, sottili come un sentiero
di matita
da me a te né dopo né dove, amore,
nello scorrere
quando mi dici guardami bene, guarda:
l’albero è capovolto, la radice è nell’aria.
da Mandate a dire all’imperatore (2010)
Lettera per una nascita
Scrivo per te parole senza diminutivi
senza nappe nè nastri, Chiara.
resto un uomo di montagna,
aperto alle ferite,
mi piace quando l’azzurro e le pietre si tengono
il suono dei “sì” pronunciati senza condizione,
dei “no” senza margini di dubbio;
penso che le parole rincorrano il silenzio
e che nel tuo odore di stagione buona
nel tuo sguardo più liscio dei sassi di fiume
esploda l’enigma del “sì” assordante che sei.
Scriverti è facile; e se potessi verserei
la conoscenza tutta intera delle nuvole
la punteggiatura del cosmo
la forza dei sette mari, i sette mari in te
nel bicchiere dei tuoi giorni incorrotti.
Ma non sono che un uomo, e quest’uomo
ti scrive da un tavolo ingombro
e piove, oggi, e anche la pioggia ha le sue beatitudini
sulla casa dalle grondaie rotte
quando quest’uomo ti pensa e fra tutte le parole da scegliere
non sa che l’inciampo nel dire come si resta
e come si preme
nel mistero del giorno nuovo in te
che prima non c’era
adesso c’è.
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da Mandate a dire all’imperatore (2010)
Pierluigi Cappello è nato a Gemona del Friuli nel 1967 e morto ieri, 30 settembre 2017, era originario di Chiusaforte, dove ha trascorso la fanciullezza. Dopo aver compiuto gli studi superiori a Udine, ha frequentato la facoltà di Lettere presso l’Università di Trieste. Nel 1999 assieme a Ivan Crico ha ideato, e diretto per diverso tempo, La barca di Babele, una collana di poesia edita dal Circolo Culturale di Meduno, che accoglie autori noti dell’area friulana, veneta e triestina. Nel 2006 pubblica quasi tutte le raccolte delle sue poesie in Assetto di volo, a cura di Anna De Simone, con introduzione di Giovanni Tesio, presso Crocetti, Milano. Un nuovo libro di poesie, Mandate a dire all’imperatore, con postfazione di Eraldo Affinati, è stato pubblicato sempre da Crocetti, Milano 2010. Nel 2016 pubblica Stato di quiete BUR contemporanea, Rizzoli, Milano.
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Maurizio Crosetti, La Repubblica.it, 01 ottobre 2017.