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di Antonio Vargiu

Approfondiamo il discorso iniziato lo scorso anno: l’invito è sempre quello di alzare di notte gli occhi al cielo e contemplare quello che ben possiamo considerare come un “infinito”.

La prima cosa da fare, quindi, è quella di toglierci dalle troppo invadenti luci delle città e quindi perderci nella grandiosa visione delle stelle.

Molti di noi proveranno una nuova, esaltante sensazione: non quella di smarrimento per la nostra piccolezza, ma di conforto per far parte di questa immensità.

Negli ultimi numeri di questo sito abbiamo presentato alcune importanti poesie di Ernesto Cardenal, che nelle sue ultime opere si è sempre più caratterizzato come il “poeta del cosmo”. Con lui ci siamo immersi nella grandiosità della creazione.

In questa linea presentiamo un’altra persona, un premio Nobel non per la letteratura ma per la fisica, anche se, sotto, ne pubblichiamo una sua poesia assai significativa.

Il “sentimento oceanico”

Utilizziamo per questo l’acuta ed intelligente presentazione che ne fa Mauro Pellegrini sul suo blog (1):

“…Se si si spegne per un po’ il chiacchiericcio di quella parte di mente che, a ben guardare, non fa che ripetere pochi ricorrenti pensieri, se si sta per qualche tempo davvero in silenzio davanti ad uno spazio aperto, capita di avere accesso ad uno stato di coscienza più profondo e più ampio.

Il premio Nobel Romain Rolland in una lettera a Freud definì questo stato Sentimento Oceanico: la base (laica) di ogni sentimento religioso, la sensazione di appartenere a qualcosa di più grande e di farne parte avendone coscienza.

Certo perché “sovvenga l’eterno” bisogna guardare al di là della siepe ed è più facile farlo quando almeno per un po’ si sta fuori dal consueto, quando non ci si perde nel labirinto degli automatismi di tutti i giorni, quando si tiene presente che la maggior parte delle barriere/muri/siepi non sono che pregiudizi, tracotanze, pretese di superiorità, inutili sovrastrutture. Più facile, insomma, farlo in vacanza davanti al mare o su una montagna.

Ecco perché condivido con voi il pezzo di Feynman che spero serva come una preghiera laica… Credo sia un ottimo esempio di come si può guardare oltre se stessi senza perdersi e realizzando di essere parte di qualcosa di molto più vasto…”.

“Credo che, in fin dei conti, la felicità
non sia altro che il sentirsi dissolvere
in qualcosa di grande e assoluto”
Willa Cather

Ecco le onde scroscianti

Ecco le onde scroscianti
montagne di molecole
ognuna ottusamente intenta ai fatti suoi
miliardi di miliardi lontane
eppure formano all’unisono spuma bianca

Ere su ere
prima di un occhio che potesse vederle
anni dopo anni
martellare possenti la riva come ora.
Per chi? per cosa?
Su un pianeta morto
che non ospitava alcuna vita.

Senza requie mai
torturate dall’energia
prodigiosamente sprecata dal sole
riversata nello spazio.
Una briciola fa ruggire il mare.

Nel profondo del mare
tutte le molecole ripetono
l’altrui struttura
finché se ne formano di nuove e complesse
ne creano altre a propria immagine
e inizia una nuova danza.

Crescono in dimensioni e complessità
esseri viventi
masse di atomi
DNA, proteine
danzano figure ancora più intricate.

Fuori dalla culla
sulla terra asciutta
eccolo in piedi:
atomi con la coscienza;
materia con la curiosità.

In piedi davanti al mare,
meravigliato della propria meraviglia: io
un universo di atomi
un atomo nell’universo.

Richard Feynman

 

Uno sguardo alla volta celeste

Arrivano le notti di agosto, del mese cioè maggiormente dedicato alle ferie e, quindi, alle vacanze, all’uscire fuori -soprattutto per i “cittadini”- dai ritmi di ogni giorno. Anche quest’anno sarà così, nonostante il “corona virus”. Anzi passeremo questi giorni di libertà forse in maniera più raccolta e meno esuberante, con mete ed orizzonti più vicino a noi, magari riscoprendo borghi antichi e stupendi mari italiani.

La notte è delle stelle: possiamo già immergerci in quella incantata atmosfera rileggendo poesie che ci mostrano la strada per approfondire il senso di questo mondo, bello e misterioso.

Da qui una breve antologia, che arricchisce quanto già pubblicato lo scorso anno in questo stesso periodo.

 

Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia (vv. 84-98).

E quando miro in cielo arder le stelle;
dico fra me pensando:
a che tante facelle?
Che fa l’aria infinita, e quel profondo
infinito seren? che vuol dir questa
solitudine immensa? ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
smisurata e superba,
e dell’innumerabile famiglia;
poi di tanto adoprar, di tanti moti
d’ogni celeste, ogni terrena cosa,
girando senza posa,
per tornar sempre là donde son mosse;
uso alcuno, alcun frutto
indovinar non so.

Rainer Maria Rilke, Le prime stelle.

Ardono i vetri sulla casa muta.
Tutto il giardino è un olezzar di rose
Alta distende sull’etere fermo,
tra i larghi abissi delle nubi bianche,
l’ali, la Sera.

Una squilla si versa sulle aiuole,
limpida voce di mondi celesti.
Furtiva, sulle pallide betulle
colme di sussurrìi, veggo la Notte
che accende lenta nello scialbo azzurro
le prime stelle.

 

Carlo Bramanti, Stelle cadenti.

Stelle cadenti
raccolte
in una botte di vino a metà
bevute
dal desiderio espresso
di prati sconfinati
dove cielo è tramonto
e io ti bacio
mio sogno dalle labbra più morbide
e rosse
da mordere quando mi chiedi
se sono felice

Juan Ramon Jimenez, Tu non dormi, io non dormo.

Tu non dormi.
No. Io non dormo.
Stiamo parlando sotto le stelle.
Siamo qui, due rose meditabonde
nella pace della terra

Edith Irene Soedergran, Le stelle.

Quando viene la notte,
io sto sulla scala e ascolto,
le stelle sciamano in giardino
ed io sto nel buio.
Senti, una stella è caduta risuonando!
Non andare a piedi nudi sull’erba,
il mio giardino è pieno di schegge.

 

 

  • Dal blog “Forme vitali” di Mauro Pellegrini.

 

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