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di Antonio Vargiu

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Prima delle ferie ci siamo lasciati con Salvini che faceva sfoggio di una straripante leadership, attraversando in lungo e in largo tutta l’Italia (ma quando mai svolgeva il suo ruolo di ministro dell’Interno?) tra “bagni di folla” e selfie, creando un clima “referendario” ben poco rassicurante.

 

O con lui o contro di lui.

Con lui significava essere contro gli immigrati a prescindere, contro le ong, contro papa Francesco, contro l’Europa e contro l’euro, il tutto però “condito” con l’impegno ad abbassare le tasse e ad elargire più pensioni.

 

Non c’erano mezze misure: chi non aderiva a queste impostazioni era il “nemico”.

La nostra agenda, invece, era molto diversa: al primo posto la preoccupazione per un lavoro che stentava e stenta a riprendere dopo la grande crisi, la necessità quindi di un forte sostegno per la ripresa degli investimenti produttivi, il mantenimento per tutti i cittadini dei servizi pubblici essenziali, a partire dalla sanità, che nel corso degli ultimi anni ha visto invece tagli di spesa crescenti, creando di fatto una spaccatura nel paese: una “sanità del Nord” a livelli europei e una “sanità del Sud” con gravi carenze.

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Quanto al discorso sul fisco, un’organizzazione sindacale degna di questo nome non poteva non essere che contro qualsiasi ipotesi di flat tax, che, inversamente alla capacità di reddito, restituirebbe più soldi a chi ha di più e meno –molto meno- ai redditi medio-bassi.

Non a caso in tutte le proprie piattaforme Cgil, Cisl e Uil “denunciano che la pressione fiscale in Italia è insopportabile per i lavoratori dipendenti e pensionati che contribuiscono al gettito Irpef per il 94,8% dell’imposta netta. È assolutamente prioritario ridurre il peso delle imposte che grava su queste categorie, per questo Cgil Cisl e Uil chiedono che si operi una riforma complessiva del fisco italiano improntata ad una piena progressività

su redditi e ricchezze, la quale operi per tutti i contribuenti italiani superando le attuali disparità”.

Il “caos istituzionale”

Diciamolo francamente: anche il sindacato confederale ha mostrato, ad un certo punto, incertezza e difficoltà a districarsi nel caos istituzionale che si era venuto a creare.

Questo caos nasceva da un semplice fatto: mentre “al presidente del consiglio, in quanto capo dell’Esecutivo, la Carta costituzionale conferisce un’autonoma rilevanza, facendone il centro nevralgico dell’intera attività del Governo: egli, infatti, ne dirige la politica generale e ne è il responsabile, mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo, promuove e coordina l’attività dei Ministri”, nei fatti questi poteri erano stravolti se non esautorati dalle nuove e strane figure, rappresentate da due vicepresidenti, spesso conflittuali con il presidente del consiglio.

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Di fronte a questa anomalia istituzionale non poteva funzionare a lungo la posizione per così dire “neutrale” da parte delle organizzazioni sindacali confederali, sintetizzabile nella frase: “se ci convocano, ci sediamo al tavolo per trattare”.

Questo per due motivi molto semplici:

  1. le convocazioni di Salvini al Ministero degli Interni erano piuttosto assemblee di sigle più che occasioni di vero confronto;
  2. non c’era nessuna certezza che quanto eventualmente convenuto si potesse tramutare in decisioni collegiali del governo.

Qualcuno, per spiegare questa situazione abbastanza anomala, citava una celebre frase attribuita erroneamente a Mao (ma in realtà del suo oppositore Deng Xiaoping): “non importa di quale colore sia il gatto, l’importante è che prenda il topo”.

Tradotto: reddito di cittadinanza, ok affronta il tema della povertà (anche tra i lavoratori), quota 100 ok, molto meglio che la Fornero!

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Alcune riflessioni

Facciamo seguire allora, brevemente, alcune riflessioni:

 

 

  • quanto al metodo di adozione di questi provvedimenti “sociali”: è stato lo stesso di quello del governo Renzi, cioè nessun confronto o consultazione con le organizzazioni sindacali;
  • quanto ai contenuti: il reddito di cittadinanza non ha tenuto in nessun conto del già istituito reddito di inclusione, certamente più capillare anche per la collaborazione con le istituzioni e gli enti locali, anche se, come denunciato a suo tempo anche su questo sito, aveva stanziamenti largamente insufficienti;

risultato: più sprechi, rischio di disincentivare il lavoro regolare, più gestione burocratica e dall’alto;

  • quanto ai contenuti: quota 100 per le pensioni, gestita male, ha determinato buchi di personale specializzato, specie in settori delicati come la sanità; avvantaggerà alcune “classi” di lavoratori (è sperimentale e dura tre anni), ma non potrà diventare una regola “normale” a causa dei suoi forti costi previdenziali.

Ricordiamo anche a tutti che questo metodo di giudizio, basato sui fatti, è lo stesso che abbiamo adottato – a suo tempo- nei confronti del governo Renzi, per il cui operato:

  1. abbiamo apprezzato gli 80 euro mensili di detrazioni fiscali, che ancora oggi producono benefici per oltre 10 milioni di lavoratori e pensionati;
  2. abbiamo apprezzato anche il Rei, il reddito di inclusione, che aveva il merito di coinvolgere le istituzioni locali (Comuni, Regioni ecc.), anche se aveva il grosso difetto di essere scarsamente finanziato e, quindi, di dare un sostegno ai “poveri” in misura del tutto insufficiente;
  3. abbiamo infine aspramente criticato con numerosi articoli –che potete facilmente trovare su questo sito- quel complesso di normative, penalizzanti il mondo del lavoro, che vanno sotto il nome di “jobs act”.

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In conclusione il movimento sindacale confederale non potrà mai essere “neutrale” verso i governi, non per una qualche sua aprioristica scelta, ma perché è proprio la tutela degli interessi dei lavoratori che lo spinge a giudicare e a scendere in campo.

Nello stesso tempo non possiamo neppure essere indifferenti rispetto alla difesa delle libertà democratiche nel nostro paese, che lo “sdoganamento” perfino dell’intolleranza e del razzismo può indebolire in maniera letale.

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