Sanita’: ridurre gli sprechi, ma come? (I)
E’ evidente che, in regime di scarse disponibilità finanziarie, sempre maggiore attenzione andrà riservata ad utilizzare al meglio quanto si ha a disposizione, a meno che non si voglia, anche per interessi di lobby o per motivi politici, far naufragare questo servizio, che è stata una delle conquiste dello stato del benessere del secolo scorso.
Non vogliamo passare per ingenui: ci sono non solo sprechi, ma anche corruzione e vere e proprie ruberie. Quasi tutti i giorni vediamo, ormai, la scoperta di prescrizioni fasulle o di “furbetti” ripresi in pieno dalle telecamere, mentre timbrano e poi non vanno a lavorare, riempiendo spesso i notiziari televisivi o i vari social network.
Come non ricordare poi le pesanti affermazioni fatte lo scorso aprile dal presidente dell’autorità anticorruzione (Anac) Cantone: “La sanità, per l’enorme giro di affari che ha intorno e per il fatto che anche in tempi di crisi è un settore che non può essere sottovalutato, è il terreno di scorribanda da parte di delinquenti di ogni risma…”.
“La corruzione in Sanità – aggiungono i dirigenti delle 151 strutture sanitarie che hanno partecipato ad una indagine sulla percezione della corruzione – sottrae fino a 6 miliardi l’anno all’innovazione e alle cure ai pazienti”. E in una azienda sanitaria su tre (37%) si sono verificati episodi di corruzione negli ultimi 5 anni, “non affrontati in maniera appropriata”.
Il “che fare”: l’analisi di un esperto, Luca Ricolfi (1).
Sul come gestire queste situazioni e, più in generale, sui necessari tagli della spesa pubblica non possiamo non citare un’acuta ed illuminante analisi fatta su La Stampa da Luca Ricolfi un po’ più di due anni fa (La Stampa, 23 marzo 2014):
“Cominciamo dalle cifre. La spesa pubblica, se trascuriamo gli interessi sul debito e le pensioni vere e proprie (che sono retribuzioni differite), ammonta a circa 500 miliardi. Questa cifra include sia la spesa sociale in senso stretto (sanità, scuola, assistenza, ammortizzatori sociali) sia le spese generali di funzionamento di qualsiasi stato moderno (difesa, giustizia, carceri, amministrazione, trasporti, infrastrutture).
La stragrande maggioranza degli studi che hanno provato a stimare l’entità degli sprechi in uno o più di tali settori hanno riscontrato tassi di spreco medi nazionali compresi fra il 15% e il 30%. Tali tassi, però, variano enormemente da territorio a territorio, diciamo da un minimo del 5%, tipicamente riscontrabile per diversi servizi erogati in Lombardia e in Veneto, fino al 50%, tipicamente riscontrabile in molte (non tutte) le regioni meridionali. Complessivamente, una stima prudente del tasso medio di spreco a livello nazionale, intendendo con spreco tutto quel che si spende in più rispetto ai territori più efficienti, si può situare intorno al 20%.
In concreto significa che, ogni anno, buttiamo dalla finestra più o meno 100 miliardi di euro, dove «buttare dalla finestra» significa che potremmo produrre gli stessi servizi spendendo 400 miliardi anziché 500 o, alternativamente, che con la medesima spesa di prima potremmo ampliare i servizi di circa il 20%: più asili nido, più politiche contro la povertà, migliori ospedali, migliori scuole e così via…
C’è un «però» grande come una casa, tuttavia. Tagliare senza ridurre i servizi è difficile, difficilissimo (su questo, e fino a questo punto, i sindacati hanno perfettamente ragione). Si può fare, ma solo a tre condizioni, nessuna delle quali è attualmente rispettata, e l’ultima delle quali è indigeribile per i sindacati.
(1) Luca Ricolfi è professore ordinario di Psicometria presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Torino. Dopo essere stato editorialista de La Stampa, attualmente scrive su Il Sole 24 ore.