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Accanto alla struttura pubblica, l’utile funzione di un nuovo soggetto: il “privato collettivo”.
Da sempre apprezziamo le analisi e i contributi dati da Chiara Saraceno a tematiche fondamentali e socialmente essenziali quali la questione femminile, la povertà, le politiche sociali ecc.

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Sostanzialmente condividiamo anche l’ultimo articolo scritto su La Repubblica, intitolato “Le disuguaglianze nella salute” (1), in cui si esprime preoccupazione per i continui tagli alle prestazioni del nostro sistema sanitario nazionale, con pesanti ricadute sulle fasce più povere della popolazione.

Ricordava infatti che “un rapporto Istat di settembre 2015, “Le dimensioni della salute in Italia”, segnalava che il 9% della popolazione aveva rinunciato nell’anno precedente ad almeno una prestazione sanitaria tra visite specialistiche, accertamenti o interventi chirurgici, pur ritenendo di averne bisogno. Il fenomeno riguardava, ovviamente, i meno abbienti e più al Sud e Isole (in particolare la Sardegna), dove vi è una maggiore concentrazione di povertà e una minore efficienza media del servizio sanitario pubblico”.

La Saraceno sottolineava che, in questo modo, il SSN non riusciva più a garantire un fondamentale diritto di cittadinanza: se non alla salute, almeno alle cure quando si è malati”.

Nello stesso tempo paventava l’avanzare sempre più ampio nel settore delle polizze assicurative, che pone due importanti questioni:

“1) In primo luogo, le assicurazioni private fanno un’opera importante di selezione sia di ciò che coprono sia dei clienti. Per avere un buon livello di copertura bisogna o pagare premi alti, o appartenere ad aziende o associazioni che hanno convenzioni con aziende sanitarie di mercato;

2) la seconda selezione riguarda clienti potenzialmente rischiosi: oltre una certa età non è possibile assicurarsi, oppure si è depennati o retrocessi (con copertura inferiore) dall’assicurazione in essere. Lo stesso avviene se si è avuta una malattia grave e che presenta potenziali rischi per il presente e il futuro”.

“Con l’istituto dell’attività intra (ed extra) moenia da parte dei medici ospedalieri – continua la sociologa- molto mercato è già entrato nella sanità pubblica, dove chi può riesce ad ottenere sia la garanzia della qualità — professionale e delle attrezzature — del pubblico e il trattamento (in termini di tempi di attesa e di comfort) del privato. Un’ulteriore espansione del privato via assicurazioni rischia di peggiorare ulteriormente la situazione, non di migliorarla”.

Questa analisi, come dicevamo, per larghi versi condivisibile, ha però il difetto di non prendere assolutamente in considerazione la scesa in campo di un terzo soggetto, che si pone accanto al sistema sanitario pubblico e sopravanza le polizze assicurative individuali. Parliamo, cioè, di un soggetto che potremo chiamare “privato collettivo”.

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Si tratta dei “fondi di assistenza sanitaria integrativa” di fonte contrattuale. Sono, cioè, originati da quei contratti nazionali, oggi molto vituperati da quella parte di opinione pubblica influenzata da ambienti imprenditoriali retrivi, ma che producono benefici a tutta una platea di lavoratori, anche di piccole realtà produttive, mediante “la mutualità” della parte più forte dei lavoratori occupati.

Possiamo ben essere orgogliosi di essere stati, come Uiltucs, sostenitori di un progetto, che si è poi realizzato. Nei settori in cui agisce la nostra Federazione possiamo contare più di un milione e mezzo di iscritti a questi fondi contrattuali, che hanno come punto fermo l’ “universalità” dei trattamenti per tutti i lavoratori a cui si applica un contratto nazionale. In particolare la platea più ampia (un milione e 200 mila) è costituita dai lavoratori cui si applica del ccnl Terziario, Distribuzione e Servizi (Confcommercio).

E’ stato importante superare il concetto di un’adesione parziale e volontaria prevista da contratti di altri settori, che richiedevano un contributo, anche di un certo rilievo, ai lavoratori aderenti.

Con la partenza di questi nuovi Fondi, praticamente senza oneri per i lavoratori, si è garantita, come detto prima, l’universalità dei benefici.

Nello stesso tempo non si è collocata questa platea di lavoratori fuori dal servizio sanitario nazionale, sia perché tutti i piani sanitari hanno come fondamento il pagamento dei ticket, sia perché, anche nel caso di convenzioni, queste sono stipulate sia con il pubblico che con il privato.

In più sono previsti importanti interventi a sostegno della maternità e un forte impegno nella prevenzione.

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In conclusione, c’è del nuovo anche nella vecchia pianta del sindacalismo confederale. Ma episodi come questi, in cui queste innovazioni non vengono conosciute o prese in considerazione anche da studiose ed intellettuali vicine alle battaglie di giustizia sociale portate avanti dal movimento dei lavoratori, ci dicono che non facciamo abbastanza per pubblicizzare e far conoscere in maniera puntuale le cose positive che pur realizziamo.

 

 

 

 

(1) Chiara Saraceno, le disuguaglianze nella salute, La Repubblica, 9 giugno 2016.

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