di Antonio Vargiu
Questo titolo, riportato dall’Espresso, mi ha subito incuriosito. Ne è venuta fuori così un’occasione per esplorare un nuovo mondo poetico: quello del poeta statunitense Charles Simic, nell’occasione intervistato dal giornalista Wlodek Goldkorn (1).
Lo confesso: sono almeno trent’anni che gioco a scacchi e molti di più quelli in cui ho messo nero su bianco i miei versi. Ma non avevo mai visto analogie tra le due cose.
Andiamo allora a vedere il senso più profondo di questa affermazione.
Ad un certo punto l’intervistatore si meraviglia del fatto che Simic, potendo fare sia il pittore che scrivere versi, abbia scelto la poesia. Ed ecco la risposta “fulminante”:
“E allora le dico come stanno le cose. Sono diventato poeta perché da giovanissimo, subito dopo la guerra (2), ero un ottimo giocatore di scacchi. Vincevo contro gli adulti. Ho amato e amo gli scacchi. L’infinito riflettere, il decidere la mossa, la furbizia e anche il dolore della sconfitta, adoro tutto questo. Lavorando con le parole, scrivendo le poesie, ho una simile sensazione. Le poesie sono un genere non lunghissimo e che richiede un continuo armeggiare ed aggiustare”.
A questo punto metto a confronto queste affermazioni con la mia esperienza: a scacchi ho iniziato a giocare piuttosto tardi, quando ho dovuto smettere di giocare a pallone da dilettante e volevo trovare un’alternativa quasi altrettanto soddisfacente dal punto di vista agonistico. Niente a vedere, quindi, con la poesia. E’ vero però che scrivere versi “richiede un continuo armeggiare ed aggiustare”, che la “poesia è lenta” e che “nessun poeta sia in grado di spiegare come nasca una parola, come venga fuori un verso e come tutto questo diventi poesia”.
Mi permetto di aggiungere che nessuno, d’altra parte, è in grado di spiegare come, certe volte, la prova fallisca e ci lasci la sensazione di un treno finito fuori binario o come, a periodi di “fertile creazione”, subentrino periodi di aridità e di deserto. Ma questa è la sfida della vita.
Cogliamo però l’occasione per fare un “assaggio” della conoscenza del poeta. Ci serviamo, per questo, di Emiliano Zappalà (3), che scrive:”Avvicinarsi alla poesia di Charles Simic significa entrare in un universo inafferrabile e sconfinato. Affrontare un viaggio senza ritorno. Perdersi senza bussola. In un mondo misterioso e affascinante, dove ogni cosa viene nominata, disegnata, raccontata, scoperta per la prima volta. Un mondo assoluto perché incomprensibile, al di fuori da ogni sistema di riferimento. Dove la mappa delle nostre conoscenze e delle nostre sensazioni viene riscritta e ricompilata. Un’esperienza che ti segna. Qualcosa che resta”.
A seguire un piccolo “saggio” della sua scrittura poetica.
The Place
Parlavano di guerra
davanti alla tavola ancora apparecchiata.
Sul lato opposto della via la prima finestra
della sera era già accesa.
Lui si sedette, curvo, calmo,
mentre la vecchia paura lo assaliva.
Imbruniva. Lei si alzò per portare in cucina
il piatto sgradevolmente bianco.
Fuori, nei campi nel bosco,
un uccello parlava per proverbi,
un Papa usciva incontro ad Attila,
il fosso era in attesa del plotone.
RETURN TO A PLACE LIT BY A GLASS OF MILK, 1974
War
Il dito tremante di una donna
Scorre la lista dei caduti
Nella sera della prima neve.
La casa è fredda e la lista lunga.
I nostri nomi, tutti, sono inclusi.
HOTEL INSOMNIA, 1992
The Mouse in the Radio
Dopo gli ultimi notiziari
Prendi coraggio
Per grattare un paio di volte
Alla parete del tuo nascondiglio.
Ora che le luci sono spente,
avverti il freddo,
la desolata solitudine,
e così porgi il tuo quesito,
o forse un saluto sentito?
E resta la notte
Senza stelle,
interminabile e in ogni caso
senza traccia di pietà.
JACKSTRAWS, 1999.
Hotel Insomnia
Mi piaceva quel piccolo buco
con la finestra che dava su un muro di mattoni.
Nella stanza vicina c’era un piano.
Un vecchio storpio veniva a suonare
My Blue Heaven
due tre sere al mese.
In genere però era tranquillo.
Ogni camera con il suo ragno dal soprabito pesante
che cattura la mosca nella rete
fatta di fumo e cerimonie.
Era così buio laggiù
che non riuscivo a vedermi nello specchio del lavabo.
Di sopra, alle 5 del mattino, scalpiccio di piedi nudi.
Lo «Zingaro» che legge la fortuna
(ha il negozio all’angolo)
va a pisciare dopo una notte d’amore.
Una volta, persino il singhiozzo di un bambino.
Era così vicino che per un attimo
Pensai di singhiozzare io.
HOTEL INSOMNIA, 1992
-
L’Espresso, 18 giugno 2017.
-
Lo scrittore è nato a Belgrado 79 anni fa ed è emigrato in America quando aveva 26 anni.
-
Dal sito Critica Letteraria, Pillole d’autore –l’universo poetico di Charles Simic, 14-9-2014.