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LA POESIA NON E’ MORTA : A PORDENONE 900 PERSONE RIEMPIONO IL TEATRO GIUSEPPE VERDI NEL RICORDO DI PIERLUIGI CAPPELLO.

E’ questa la risposta che viene spontanea alla provocazione di Cesare Viviani (1), che aveva parlato della poesia come destinata a sparire, sommersa dal rumore assordante di questa nostra epoca e dalla perdita del significato delle parole, travolte dalle onde limacciose di Internet.

Ma Pordenone, con il suo festival della letteratura, si è incaricata di dare una prima smentita. Il teatro Giuseppe Verdi pieno, amiche ed amici del poeta friulano, morto circa un anno fa (2), si sono alternati sul palco per ricordarne i forti tratti caratteriali e la sua vivacità, oltre naturalmente le sue doti poetiche. In particolare Susanna Tamaro, oltre a leggere alcune poesie di Pierluigi Cappello, ha parlato di un suo libro a lui dedicato “Il tuo sguardo illumina il mondo”, Solferino Libri editore, uscito in occasione del festival, in sostituzione di quello che non è potuto uscire, un libro che avrebbe dovuto essere scritto a quattro mani, frutto dei loro intensi rapporti e conversazioni (sul senso della vita, sulla letteratura, sulla loro dura lotta personale contro due, sia pur diversi, handicap ecc.).

Un altro amico del poeta ha voluto ricordarlo con un articolo su Il Venerdì di Repubblica (3): “Lo andavo a trovare a Tricesimo. in Friuli, scendendo a piedi dal poggio del Belvedere fino alla casa in legno costruita dagli austriaci dopo il tremendo terremoto del 1976, dove lui…abitava come in sosta tra i frequenti dolorosi ricoveri ospedalieri e le tante emozionanti letture capaci di segnarlo in modo indelebile: Ugo Foscolo (la comunità degli scomparsi), Vittorio Sereni (la vecchia frontiera dell’Europa), Eugenio Montale (la sapienza delle tracce), ma anche Melville, Hemingway, Dovstoevskij. Noi però parlavamo di Giuseppe Ungaretti, a cui lui, appassionato del poeta soldato, aveva dedicato un cammeo…”.

Conclude Affinati raccontando delle loro profonde discussioni:”Come si fa a resistere? Quale è la ragione profonda da cui ricaviamo alimento?…Perchè dobbiamo continuare a darci dentro? E, specialmente, ne vale la pena? Pierluigi, lo chiedo a te. Questa fu la sua risposta che vorrei condividere alla maniera di un pegno da custodire:

Non per orgoglio del compito svolto,

ma per orgoglio del compito

qualcosa rimane del nostro dire;

abbiamo inciso i nomi sul tronco folgorato,

siamo passati di lì”.

 

Ed ecco il testo completo della poesia che è stata citata

 

Le belle lettere

A Eraldo Affinati

 

I polpastrelli premuti sulla terra battuta,
la combustione degli istanti liberata in uno scoppio
nel corpo lanciato verso cento metri che non finiscono più
che sono già finiti,
i lunghi ritorni a casa, estenuanti,
dove qualcosa dentro noi andava puntellato
nella desolazione, per catturare il mondo in un dettaglio,
come guardato attraverso una fessura.


Siamo antichissimi e giovani,
abbiamo visto Vienna liberata dai cavalieri alati,
chiuso le belle lettere in un tascapane,
accanto alle cartucce
scalato le marce e aperto il gas in un ruggito
dopo l’ultima curva
e ancora la bellezza e il dolore sono un cielo
che entra nella voce e la spezza.


Non per orgoglio del compito svolto
ma per orgoglio del compito
qualcosa rimane del nostro dire
abbiamo inciso i nomi sul tronco folgorato,
siamo passati di lì.

 

Da Stato di quiete. Poesie 2010-2016 (BUR Rizzoli, 2016)

un-po-piu-soli-per-pierluigi-cappello

 

Di seguito altre tre sue poesie, che sono sicuro apprezzerete:

I vostri nomi


Ieri sono stato a trovarti, papà,
la luce in questi giorni non è tagliata dall’ombra
negli alberi senza vento c’è l’odore secco dell’aria
per come posso, ti ho portato il racconto dei temporali,
l’odore di inverno sulle tempie
a Chiusaforte è nevicato, nevica sempre
e le fontane sono ghiacciate
penso, per qualche momento, che tu sia ancora lassù
ad accatastare legna con cura
e non in luoghi come questi
la casa di riposo con la pista per le bocce
dove state raccolti come le foglie nel parco
uniti nell’attesa, lontani dalle città assediate.

Dicevate domani, dicevate questo è il figlio
e con il silenzio del fischio nella bufera
i vostri nomi sono andati via
voi che siete stati popolo e ombra
remissione e forza
il tuo nome, papà, e quello di Bruno, che non era un’antilope
e tirava sassate al pettirosso sul ramo più alto
o quello di Giordano, o quello di Cesare, o quello di Alfredo, l’artigliere
o quello di quelli che, come te, sono stati bambini
che hanno detto domani.

E adesso non è troppo dire
quanto poche sono le foglie cadute
sui giorni di novembre
per dire cos’è l’inverno negli occhi mentre viene
tutto il poco possibile è qui,
nei vostri corpi piegati come l’ulivo
sulle vostre facce di monete graffiate
in questo spazio, in questo tempo confusi
come il cielo e la terra quando nevica,
e se c’è un’uscita, papà, anche se non posso dire domani,
la sua luce sulla soglia
è questo stare dei tuoi occhi dentro i miei
questo pensarvi vivi, liberi e scalzi
le tasche piene di sassi, la memoria di voi
che trema in noi
come una stella incoronata di buio.


Da 
Azzurro elementarePoesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013

 

scritto-a-matita

Poesia scritta con la matita


Sono devoto all’anima di grafite della matita:
un solo colpo di gomma e il segno lasciato sparisce,
sentieri imboccati con leggerezza
si riconducono alla docilità della via maestra
i crolli vengono evitati con un’alzata di spalle,
l’imprevisto è un vecchio con il pugnale spuntato.

L’anima di grafite non conosce soste, esitazioni:
nel suo stesso procedere in avanti
ci chiama alla possibilità del ritorno,
nel suo segno scuro riposa la dolcezza del bianco
e Angelina torna a sorridere
tenendo per mano un bambino
abbagliato dal sole.

Tricesimo, 5 gennaio 2010.

Da Azzurro elementarePoesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013.

 

 

Da quale parte di te viene incontro festosa

633llustrazione di

Da quale parte di te viene incontro festosa
questa strada data alla luce? Gli alberi
sgrondano, i lunotti sono specchi,
il riflesso di una portiera aperta e chiusa
acceca nell’aria umida; un mondo sgocciolante e bagnato ti sale
in gola e si fa respiro, prende la forma della luce
nel sole da poco scorto. È una felicità
da applauso, da palcoscenico, accesa in breve e spenta
dentro il chiarore diminuito.

Cassacco, settembre 2017 

(da Pierluigi Cappello, Un prato in pendio. Tutte le poesie 1992-2017, Bur Rizzoli

  1. La poesia è finita? Una provocazione di Cesare Viviani, Antonio Vargiu, “Diario (d’amore, di lotta e…)”, n.42 2018.

  2. Vogliamo parlare oggi di Pierluigi Cappello, Antonio Vargiu, “Diario (d’amore, di lotta e…)”, n.36/37 2017.

  3. Cappello, il poeta che mi svelò perchè stare al mondo, Eraldo Affinati, Il Venerdì, 28 settembre 2018.

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