Come ampiamente previsto la legge di stabilità 2016 è stata approvata dalle Camere, con qualche ritocco qua e là, venendo incontro ad interessi anche molto diversificati tra loro (“brillano” ad esempio le misure pro lavoro autonomo), ma senza politiche economiche idonee ad affrontare in modo strutturale i guasti crescenti procurati dall’ampliamento delle disuguaglianze nel nostro paese.
Parliamo del mezzogiorno, sempre più un vagone staccato dal pur lento treno della crescita nazionale; parliamo della povertà vera e propria, che lambisce e coinvolge quote crescenti di lavoratori (ma il governo promette di inserire la questione – in futuro- tra le sue priorità) ecc.
Per quanto riguarda il terreno di più immediata azione sindacale, quello contrattuale, tra Cgil Cisl e Uil si è raggiunto un accordo su come procedere all’ennesima riforma, che questa volta deve fare i conti con una recessione a mala pena superata e, nello stesso tempo, con un tasso di inflazione molto vicino allo zero.
Le trattative per i rinnovi dei contratti nazionali sono, comunque, in corso: dagli assicurativi ai metalmeccanici, passando per i chimici e tessili, fino a giungere ai nostri settori (dalle mense a Confesercenti, dalla distribuzione cooperativa alla grande distribuzione).
Trattative aperte sì, ma difficoltà molte: per rimanere nei settori del terziario basti pensare alle numerose iniziative di lotta che abbiamo dovuto organizzare, culminate il 19 dicembre u.s. nella grande manifestazione di Milano.
Tutto questo però non basta, se si vuole andare oltre ad una fase sindacale puramente difensiva. E’ necessario che le confederazioni abbiano il coraggio di affrontare i nodi strutturali, economici e sociali, del nostro paese.
Per questo non è possibile accettare una politica fiscale “neutrale” rispetto alla fase economica che stiamo attraversando, come non è più possibile continuare ad accettare “tagli lineari” alla nostra sanità, che oggi rischia di perdere il suo carattere di servizio accessibile a tutti i cittadini.
Su questi terreni l’iniziativa va riproposta con forza a livello territoriale , visto che a livello nazionale il governo si è mostrato più che sordo alle esigenze dei lavoratori che rappresentiamo.
Del resto è a livello territoriale che si possono rintracciare con precisione e toccare con mano le conseguenze negative relative ad un fisco diseguale e alla”malasanità” e si possono, quindi, coinvolgere efficacemente e mobilitare anche l’opinione pubblica e i cittadini.
Ovviamente la vertenzialità deve avere due caratteristiche fondamentali: deve essere radicata sul territorio e deve avere una solida base “di merito”.
Questa è anche la sostanza della lucida analisi che Luigi Angeletti aveva fatto, nell’estate scorsa, nell’intervista rilasciata al nostro sito (1):
“… è nella difficoltà che siamo chiamati a ricostruire elementi di solidarietà sociale. Certamente si sono create e sono presenti cause di malessere diffuse. Ad esempio cresce il malcontento dei cittadini rispetto all’uso inefficiente di risorse pubbliche, peraltro sempre più scarse.
Un fisco sempre più martellante, ma che non sembra capace di riequilibrare i sacrifici: le disuguaglianze crescono e, per dirla banalmente, i poveri sono sempre più poveri e i ricchi sono sempre più ricchi. Vogliamo parlare della sanità? Un solco sempre più profondo divide in due l’Italia”.
Certo il cammino non è semplice: “Non dobbiamo dimenticarci che spesso il sindacato è presente sia nell’amministrazione pubblica che eroga i servizi, sia tra coloro che pagano e hanno necessità di usufruire di quei servizi. Qui devono essere superate contraddizioni presenti anche al nostro interno.
In buona sostanza, se il “ceto politico” proclama la sua autonomia dal sociale, il sindacato deve avere il coraggio e la capacità di “competere” con il potere politico sulle soluzioni migliori per il paese”.
In questo senso si inquadrava anche la denuncia dell’eccessivo “costo della poltica”: “La campagna che abbiamo promosso come Uil contro i costi della politica non va confusa con un generico “soprassalto di moralità”. No, oltre alla moralità, nella situazione del nostro paese c’è la necessità di reperire risorse per la ripresa, che si ottengono, ad esempio, con un fisco veramente impegnato contro l’evasione, sia quella in grande stile di chi accumula ricchezze proprio nei momenti di crisi, sia di quella diffusa (autonomi, piccoli imprenditori a cavallo della linea tra lavoro nero ed emersione, ecc.).
Ma le risorse per lo sviluppo si ricavano anche dalla diminuzione degli sprechi: la moltiplicazione degli enti istituzionali e degli incarichi amministrativi/politici remunerati con i soldi pubblici ne sono un altro esempio evidente”.
Infine sul come riprendere l’iniziativa in rapporto alle altre due confederazioni Angeletti sottolineava, in risposta alla domanda sulla necessità di una qualche forma di collaborazione unitaria, che “credo che sia finito il tempo delle diplomazie interne, che spesso hanno bloccato l’azione sindacale e non sono state capite dai lavoratori.
Quello che è necessario è avere delle proposte per risolvere i problemi, che siano migliori e che siano convincenti anche per l’opinione pubblica rispetto a quelle avanzate dai politici”.
Ma, oltre all’analisi, è necessario fissare un’agenda per iniziative concrete.
Anche qui non si parte da zero. In diverse realtà locali, anche per iniziativa dei sindacati confederali, si è riusciti a tagliare una parte dei costi della politica per dirottare quei risparmi su provvedimenti sociali (vedi ad esempio il Trentino Alto Adige, l’Emilia Romagna ecc).
E’ esattamente in questa maniera, promuovendo e coordinando le iniziative a livello nazionale e generalizzandole, che i sindacati potranno di nuovo avere una giusta visibilità e considerazione da tutti in quanto strumento di tutela delle classi e dei cittadini meno abbienti!
(1) UN DIFFICILE MESTIERE: SINDACATO “ DI LOTTA E DI GOVERNO”? INTERVISTA A LUIGI ANGELETTI (2^PARTE), Diario (d’amore, di lotta e…)n.10, luglio-agosto 2015.