Rinnovo del ccnl legno-arredo: difesa del salario, sviluppo del welfare, controllo della flessibilità. Un’intervista a Fabrizio Pascucci, segretario nazionale della FenealUil.
di Antonio Vargiu
Continuano dunque i rinnovi dei contratti nazionali del settore industria (un ulteriore sigillo è stato posto dal contratto metalmeccanici, rinnovato lo scorso 5 febbraio), segno che si vuole lavorare congiuntamente al superamento della crisi economica “da pandemia”. In questo quadro ci sembra che le soluzioni trovate per il rinnovo del ccnl del legno-arredo siano molto originali ed interessanti.
Caro Fabrizio, iniziamo con una valutazione sul momento del rinnovo: Confindustria dall’inizio ha fatto fortissime pressioni per far saltare l’accordo, il nodo era il salario che il nuovo Presidente di Confindustria voleva assolutamente legarlo alla sola produttività. Il negoziato sembrava sul punto di fallire, poi che cosa è successo?
“Ha prevalso la necessità per la nostra controparte di gestire senza conflittualità gli accenni di ripresa produttiva…. In più c’è stata una presa d’atto che l’offensiva contro il nostro meccanismo, del tutto originale, di incrementare i salari era fallito”.
Cerchiamo allora di spiegare più in dettaglio come scattano, nel vostro contratto, gli aumenti retributivi.
“Innanzitutto rivendichiamo alla Feneal un ruolo molto importante nella definizione del meccanismo.
La nostra è una specie di “terza via” per gli aumenti salariali. Si parte, infatti, da un “aumento fisso” senza condizionamenti per arrivare ad ulteriori incrementi ex post, che rivalutano il salario reale tenendo conto del rapporto con l’inflazione. Per così dire un sistema “a doppio binario” “.
Nel caso concreto il sistema come ha funzionato?
“Innanzitutto è stata definita la composizione del salario di riferimento: paga base + contingenza + Edr + 3 scatti di anzianità.
Il vecchio contratto è partito dal 1° gennaio 2017 con un aumento “secco” di 49 euro al parametro medio 140.
A partire da gennaio 2018 si è aggiunto un incremento di 23,50 euro legati alla rivalutazione dell’Ipca integrale (1) riferita all’anno precedente.
Altri 28,50 euro si sono avuti a partire dal 1° gennaio 2019, sempre con il meccanismo dell’Ipca.
Il totale è stato di un incremento dei minimi pari a 101 euro. Ma è anche molto importante sottolineare il dato riferito alla “massa salariale”, che poi -detto in termini più semplici- sono i soldi effettivamente presi dai lavoratori: 1.882,74 euro”.
Mettiamo allora a paragone quei risultati con questo rinnovo.
“I conti sono presto fatti.
Partiamo sempre del parametro medio 140.
Dal 1° settembre 2020 abbiamo ottenuto un aumento di 35 euro (questo è l’ “aumento secco”).
Dal 1° gennaio 2021 sono scatti ulteriori 35 euro. A questi 70 euro andranno aggiunti quelli dell’Ipca riferiti agli anni 2020/21 (cifra quindi ancora non conosciuta).
Sappiamo però già da adesso che potremo contare su una “massa salariale” di minimo 1960 euro, cui si aggiungeranno le cifre relative agli incrementi Ipca!”.
La Feneal, oltre che sul salario, ha puntato forte anche sul welfare. Qui, al primo posto, c’è un progetto di un forte rilancio della previdenza integrativa.
“Sì, abbiamo dovuto faticare un po’ per portare avanti questa rivendicazione, ma abbiamo voluto guardare oltre il breve periodo, consapevoli dell’importanza del tema per il futuro dei lavoratori”.
Qual è la particolarità di questo progetto?
“Abbiamo scelto di aprire per tutti i lavoratori una posizione previdenziale presso il nostro Fondo, che si chiama Arco. A questo fine abbiamo ottenuto il versamento da parte degli imprenditori di 100 euro per ciascun dipendente. Ovviamente contiamo sul fatto che, stimolati in questa maniera, i lavoratori si iscrivano compiutamente al Fondo, scegliendo di versarvi anche il loro Tfr e i contributi datoriali e personali. A quest’ultimo proposito vogliamo ricordare che abbiamo incrementato dello 0,20% quanto dovuto dalle aziende per un versamento complessivo del 2,3% della retribuzione a regime, mentre la percentuale a carico del lavoratore rimane fissata all’ 1,3%”.
Passiamo ad un altro tema centrale del rinnovo: la gestione della flessibilità attraverso l’uso di alcune tipologie contrattuali. La controparte si poneva un obiettivo chiaro: la “deregolazione” dell’uso dei contratti a termine, degli interinali e degli “stagionali”.
“Questo è stato un punto cruciale che abbiamo contribuito a sbloccare e, con questo, tutto il negoziato.
Ovviamente la deregolazione non è passata. Anzi, mentre il decreto dignità definiva un tetto complessivo del 50% tra contratti a tempo determinato, somministrazione e stagionali, siamo riusciti a scendere al 45%. Certo abbiamo dato più possibilità agli imprenditori, all’interno di questa percentuale, di operare un mix più elastico tra tempo determinato e somministrazione, mentre abbiamo inserito controlli più stringenti sull’utilizzo della stagionalità, che rischiava di essere un “cavallo di Troia” della precarietà”.
In tema di welfare, oltre al rafforzamento della previdenza integrativa, sono stati ottenuti altri importanti risultati.
“Sì, ad esempio i congedi di paternità e maternità sono stati incrementati del 30%, percentuale che , sommata a quella erogata dall’INPS, raggiungerà il 60% del salario di fatto. Poi sono stati fatti progressi in tema di ambiente e sicurezza, sono stati consolidati i cosiddetti “comitati covid”, sono state ottenute altre due ore di assemblea per affrontare il tema del “benessere organizzativo dei lavoratori ecc.”
Alla fine, quindi, un rinnovo accolto con soddisfazione.
“Sì, il risultato conseguito, con progressi su tutti i temi affrontati, è stato molto importante”.
- IPCA(Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato per i Paesi dell’Unione Europea), in Italia gestito dall’Istat.
N.B. Le foto presenti nell’articolo risalgono a prima dell’ 8 marzo 2020.