Nel segno dell’unità e della rinascita di un paese: Amanda Gorman, una giovane poetessa per un nuovo presidente democratico.
di Antonio Vargiu
Si dice che quello che capita in America prima o poi lo ritroviamo in Europa e, in particolare, in Italia.
E’ così, ad esempio, nel caso di tecnologie, mode, musica ecc. C’è però un campo in cui non ci sogniamo lontanamente di imitare gli Usa, quello della diffusione popolare della poesia e del ruolo pubblico attribuito ai poeti, giovani o meno giovani che siano.
Speriamo di farci presto contagiare da questa “novità” (per noi ancora inconcepibile) d’oltreoceano.
Ma, per raggiungere questo traguardo, dobbiamo farla finita con il considerare lo scrivere in versi roba solo da “addetti ai lavori” e da “aristocratici del sapere”. Spero che i nuovi canali di diffusione della cultura –sto parlando principalmente di internet- convincano tutti che non ci sono più “torri d’avorio” in cui rinchiudersi.
Parliamo allora di Amanda Gorman, che abbiamo visto declamare i suoi versi alla cerimonia ufficiale dell’insediamento del nuovo Presidente degli Stati Uniti, il democratico Joe Biden.
Ebbene, nei paesi anglosassoni, è ormai una tradizione nominare un “poeta dell’anno”. Nel nostro caso, da pochi anni, in America si è incominciato ad assegnare il titolo di “National Youth Poet Laureate”: la Gorman (di Los Angeles) ha ricevuto questo titolo nel 2017 a soli 17 anni!
Per evitare che l’avvenimento ci rimanga nella memoria come puro fatto di cronaca, vi riproponiamo la poesia che Amanda ha declamato in questa solenne occasione. La chiara intenzione è stata quella di dare un contributo –piccolo o grande decidetelo voi- per ricostruire moralmente e culturalmente una nazione dalle ceneri di un insopportabile oltraggio operato da estremisti di destra al luogo dedicato alla libera espressione dei rappresentanti eletti dai cittadini, incaricati di assumere decisioni fondamentali per la vita di un paese.
Una raccomandazione: rileggiamo questi versi e, in particolare, gli ultimi sforzandoci di sostituire il paesaggio americano con nord e il sud, l’est e l’ovest dell’Italia. Cercando di applicare quei versi al nostro paese ne uscirebbe un bel programma “civico” d’azione.
Ringraziamo la rivista Vanity Fair (altro segno dei tempi!), che, in un articolo di Claudia Casiraghi (1), ci offre una splendida traduzione della poesia di Amanda Gorman.
The Hill We Climb (La collina da scalare)
Quando arriva il giorno, ci chiediamo dove possiamo trovare una luce in quest’ombra senza fine?
La perdita che portiamo sulle spalle è un mare che dobbiamo guadare.
Noi abbiamo sfidato la pancia della bestia.
Noi abbiamo imparato che la quiete non è sempre pace,
e le norme e le nozioni di quel che «semplicemente» è non sono sempre giustizia.
Eppure, l’alba è nostra, prima ancora che ci sia dato accorgersene.
In qualche modo, ce l’abbiamo fatta.
In qualche modo, abbiamo resistito e siamo stati testimoni di come questa nazione non sia rotta,
ma, semplicemente, incompiuta.
Noi, gli eredi di un Paese e di un’epoca in cui una magra ragazza afroamericana, discendente dagli schiavi e cresciuta da una madre single, può sognare di diventare presidente, per sorprendersi poi a recitare all’insediamento di un altro.
Certo, siamo lontani dall’essere raffinati, puri,
ma ciò non significa che il nostro impegno sia teso a formare un’unione perfetta.
Noi ci stiamo sforzando di plasmare un’unione che abbia uno scopo.
(Ci stiamo sforzando) di dar vita ad un Paese che sia devoto ad ogni cultura, colore, carattere e condizione sociale.
E così alziamo il nostro sguardo non per cercare quel che ci divide, ma per catturare quel che abbiamo davanti.
Colmiamo il divario, perché sappiamo che, per poter mettere il nostro futuro al primo posto, dobbiamo prima mettere da parte le nostre differenze.
Abbandoniamo le braccia ai fianchi così da poterci sfiorare l’uno con l’altro.
Non cerchiamo di ferire il prossimo, ma cerchiamo un’armonia che sia per tutti.
Lasciamo che il mondo, se non altri, ci dica che è vero:
Che anche nel lutto, possiamo crescere.
Che nel dolore, possiamo trovare speranza.
Che nella stanchezza, avremo la consapevolezza di averci provato.
Che saremo legati per l’eternità, l’uno all’altro, vittoriosi.
Non perché ci saremo liberati della sconfitta, ma perché non dovremo più essere testimoni di divisioni.
Le Scritture ci dicono di immaginare che ciascuno possa sedere sotto la propria vite e il proprio albero di fico e lì non essere spaventato.
Se vorremo essere all’altezza del nostro tempo, non dovremo cercare la vittoria nella lama di un’arma, ma nei ponti che avremo costruito.
Questa è la promessa con la quale arrivare in una radura, questa è la collina da scalare, se avremo il coraggio di farlo.
Essere americani è più di un orgoglio che ereditiamo.
È il passato in cui entriamo ed è il modo in cui lo ripariamo.
Abbiamo visto una forza che avrebbe scosso il nostro Paese anziché tenerlo insieme.
Lo avrebbe distrutto, se avesse rinviato la democrazia.
Questo sforzo è quasi riuscito.
Ma se può essere periodicamente rinviata,
la democrazia non può mai essere permanentemente distrutta.
In questa verità, in questa fede, noi crediamo,
Finché avremo gli occhi sul futuro, la storia avrà gli occhi su di noi.
Questa è l’era della redenzione.
Ne abbiamo avuto paura, ne abbiamo temuto l’inizio.
Non eravamo pronti ad essere gli eredi di un lascito tanto orribile,
Ma, all’interno di questo orrore, abbiamo trovato la forza di scrivere un nuovo capitolo, di offrire speranza e risate a noi stessi.
Una volta ci siamo chiesti: “Come possiamo avere la meglio sulla catastrofe?”. Oggi ci chiediamo: “Come può la catastrofe avere la meglio su di noi?”.
Non marceremo indietro per ritrovare quel che è stato, ma marceremo verso quello che dovrebbe essere:
Un Paese che sia ferito, ma intero, caritatevole, ma coraggioso, fiero e libero.
Non saremo capovolti o interrotti da alcuna intimidazione, perché noi sappiamo che la nostra immobilità, la nostra inerzia andrebbero in lascito alla prossima generazione.
I nostri errori diventerebbero i loro errori.
E una cosa è certa:
Se useremo la misericordia insieme al potere, e il potere insieme al diritto, allora l’amore sarà il nostro solo lascito e il cambiamento, un diritto di nascita per i nostri figli.
Perciò, fateci vivere in un Paese che sia migliore di quello che abbiamo lasciato.
Con ogni respiro di cui il mio petto martellato in bronzo sia capace, trasformeremo questo mondo ferito in un luogo meraviglioso.
Risorgeremo dalle colline dorate dell’Ovest.
Risorgeremo dal Nord-Est spazzato dal vento, in cui i nostri antenati, per primi, fecero la rivoluzione.
Risorgeremo dalle città circondate dai laghi, negli stati del Midwest.
Risorgeremo dal Sud baciato dal sole.
Ricostruiremo, ci riconcilieremo e ci riprenderemo.
In ogni nicchia nota della nostra nazione, in ogni angolo chiamato Paese,
La nostra gente, diversa e bella, si farà avanti, malconcia eppure stupenda.
Quando il giorno arriverà, faremo un passo fuori dall’ombra, in fiamme e senza paura.
Una nuova alba sboccerà, mentre noi la renderemo libera.
Perché ci sarà sempre luce,
Finché saremo coraggiosi abbastanza da vederla.
Finché saremo coraggiosi abbastanza da essere noi stessi luce.
- Amanda Gorman, testo e traduzione di una poesia diventata culto, Claudia Casiraghi, Vanityfair.it, 21 gennaio 2021.