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di Antonio Vargiu

La prima cosa da evitare, quando si alza la “nuvola consumistica” fatta di luci e di inviti a comprare e a fare regali, è di pensare che: “arriva “il Natale”, arrivano i parenti, i pranzi, che noia!”.

Questo perchè, invece, la seconda cosa da fare, in positivo, è quella di cercare un momento in cui si rimane soli con sè stessi a riflettere sul senso della vita, propria e della collettività in cui si vive.

La terza cosa da fare è quella di essere coscienti che il Natale viene dopo una preparazione, l’attesa di un evento che irrompe e cambia la nostra vita (è questo l’ “avvento“). Oggi dobbiamo riconquistare la pazienza e la capacità di attendere, soprattutto se aspettiamo l’arrivo di una persona.

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Per i cristiani è il giorno del compimento delle attese e dell’entrata di dio nella storia degli uomini: è il giorno dell’Emanuele (ʼImmanuʻel- in ebraico: Dio è con noi) e di Gesù (Yeshua’ in ebraico: Dio salva).

Ma anche per i non credenti la celebrazione di un “natale”, di un giorno di nascita, non può essere indifferente: l’umanità fa posto e si arricchisce di altri esseri umani, che possono contribuire, con le loro caratteristiche e qualità, a migliorare la situazione esistente.

Certo: questo è quello che dovrebbe essere, ma il cammino è duro. Perchè, ancora e dappertutto, risuona il grido di dolore di bambini innocenti uccisi nelle numerose guerre che insanguinano il nostro mondo o sfruttati o trattati come schiavi in condizioni disumane, per la guerra per il lavoro o per il sesso.

Purtroppo è sempre attuale il ricordo della strage, avvenuta tanti anni fa per mano di Erode. Tragicamente si adempì quanto detto per bocca del profeta Geremia:

Un grido è stato udito in Rama;

un pianto e un lamento grande:

Rachele piange i suoi figli

e non vuole essere consolata,

perché non sono più (Mt 2, 16-18)”.

Oggi la stessa strage si ripete non solo in medio oriente (in Siria la guerra sembra finita, ma non gli orrori che ha causato, poi c’è lo Yemen, la Palestina e così via), ma purtroppo, in tante altre regioni del mondo: non sembra esserci fine ai disastri, frutto dell’avidità e della voglia di sopraffazione dell’uomo.

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Gesù non è venuto ad imporre la “sua salvezza”, come un deus ex machina piombato dall’alto. No, è venuto per prima cosa a condividere la nostra condizione di uomini e a liberarci dal nostro peccato originale: la violenza, quella che tutti noi coviamo dentro e che poi ci fa “esplodere” nei confronti degli altri e dello stesso mondo in cui abitiamo.

E’ finito l’anno del giubileo, ma non è finita la necessità di essere misericordiosi per sanare tante ferite, materiali e dello spirito, che procuriamo a noi stessi e agli altri.

Papa Francesco apre la Porta Santa: ha inizio ufficialmente il Giubileo

Non a caso in questo periodo viene riletto il passo di Isaia che inaugurò la missione di Gesù.

. 1 Lo spirito del Signore Dio è su di me
perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione;


mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri,


2. a promulgare l’anno di misericordia del Signore,
un giorno di vendetta per il nostro Dio,
per consolare tutti gli afflitti… (Isaia 61)″.

Questo è l’impegno che deve essere di tutti, al di là di cerimonie o scadenze formali.

Il Natale non è solo una festa per le famiglie: certo farà piacere, ed è giusto, radunarsi tutti insieme anche con la “famiglia allargata”, tornare indietro nel tempo, con i ricordi di tutti i nostri cari.

Ma, come ci ricorda Isaia, c’è per noi anche un “impegno adulto”, essere testimoni attivi di una piccola, grande buona notizia: non siamo soli, “qualcuno” ci mostra che il destino dell’uomo è l’amore, non l’odio o la sopraffazione.

C’è, quindi, un “programma” da attuare, un “giubileo” perenne: facciamoci, dunque,

strumenti di questo “benefico contagio”!

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