di Antonio Vargiu
Gennaio, profondo inverno: molte sono le poesie dedicate a questo periodo dell’anno. Ma una, in particolare, ci viene subito alla mente con i suoi versi scritti circa duemila anni fa: è di Orazio e inizia con “Vide ut altum stet candidum Soracte”.
Partiamo allora da una sua rilettura, in una traduzione in italiano.
Orazio Odi 1,9
Non vedi come alto s’innalza, candido di neve,
il Soratte e più non reggono il peso
i boschi affaticati e per il gelo
anche i fiumi si sono fermati?
Sciogli il freddo aggiungendo
nuova legna sul fuoco e dall’anfora sabina
più generosamente versa, o Taliarco,
il vino invecchiato di quattro anni.
Lascia il resto agli dei: non appena
placano i venti che si combattono sul mare,
che ora ribolle, nè i cipressi
nè gli antichi frassini più s’agiteranno.
Quello che accadrà domani non chiedere
e qualunque giorno la sorte ti darà
sègnalo tra i guadagni, e i dolci amori e i balli
non disprezzare, ragazzo,
fino a che da te, nel fiore degli anni,
rimane lontana la fastidiosa vecchiaia.
Ora il Campo di Marte e le piazze ricerca
e i dolci sussurri alla sera, nell’ora stabilita.
Ora cerca il riso gradito della ragazza,
che si tradisce dall’angolo nascosto, o il pegno
strappato alle braccia o al dito che invano resiste.
Possiamo dire che la poesia è divisa in due “blocchi”: nelle prime due strofe viene descritta l’inclemenza del tempo, tipica della stagione invernale. Difatti, alla bellezza della visione del monte Soratte imbiancato dalla neve (cosa che non capita più da molti anni) vengono contrapposti il freddo intenso e i mari in burrasca. Ma Orazio nella sua ricca casa in Sabina (probabilmente quella donata da Mecenate nel 33 a.C.) ha il giusto antidoto: il fuoco che scalda esternamente la casa, il vino che riscalda i corpi e rende euforici.
Nella seconda parte, invece, vengono tratte alcune conclusioni, che si condensano in un invito, per così dire, alle “giovani generazioni”: “carpe diem” (vivi giorno per giorno) perchè non sappiamo quello che ci riservano gli “dei”, godi in pieno del tuo vigore fisico, vai -come si direbbe oggi- “in palestra” (il Campo Marzio di cui si parla nella poesia è il campo riservato agli esercizi militari dell’epoca), balla e cerca ragazze con cui “amoreggiare”, perchè dopo arriva la fastidiosa vecchiaia.
Arriviamo ad oggi: molto tempo è passato, ancora una volta viene affrontato lo stesso tema, ma con un’ottica diversa.
A questo proposito leggiamo una mia poesia (ancora inedita):
Foto tratta da Focus.it
Non cerco le rose a gennaio
Non cerco le rose a gennaio,
mi basta la luna e le stelle
di ghiaccio sopra gli alberi spogli.
Non cerco le rose a gennaio,
ma non dire
che la stagione è morta.
La gloria delle foglie d’autunno,
il suono di mille violini,
sono solo un ricordo.
Ma quello che marcisce
sotto la coltre di neve,
oh, quello che marcisce
sotto la bianca coltre di neve,
non è invano.
Nel silenzio solo un uccello solitario,
ancora di più il nostro cuore,
in attesa dell’alba.
Ancora oggi, nonostante il riscaldamento globale, l’inverno si presenta con tutto il suo rigore, ma anche con la sua particolare bellezza. Certo per apprezzarla l’uomo deve essere attrezzato per affrontare il freddo e le basse temperature che spargono gelo in tutti gli ambienti in cui viviamo. Al povero rimane solo la lotta per sopravvivere alle dure condizioni della stagione (avrei anch’io da citare qualche episodio negativo, tratto dalla mia esperienza di quando ero bambino…).
Ma torniamo alla nostra visione della stagione: non ci sono più i suoni e i colori dell’autunno, ma l’inverno ha anche una sua bellezza nascosta, che si apre a chi sa vederla.
Ma, soprattutto, non è una stagione morta. Mentre la natura soffre in realtà sta “progettando” e creando, nelle sue profondità, le condizioni per la nascita di nuova vita.
Così è anche per l’uomo e a questo proposito potremmo citare la lettera di Paolo ai Romani:”Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo” (Romani 8, 19-23)”.
Due visioni del mondo e della vita: l’importante, però, è saper cogliere gli elementi di speranza, che, d’altronde, sono il motore della storia.