Siamo oramai nella pienezza di una stagione, l’autunno, che, in particolare qui a Roma e nonostante le variazioni del clima, si presenta sempre come scintillante e luminosa. La natura mostra tutta la sua bellezza, prima di rinchiudersi nella lunga riflessione e gestazione invernale.
Noi siamo come avvolti da questo splendore, nell’aria aleggia la promessa di qualche cosa che va oltre la nostra esperienza.
E’ come una festa, di cui ancora non conosciamo i confini e alla quale siamo invitati tutti: sia coloro che oggi condividono concretamente la nostra vita sia quelli che l’hanno fatto fino a non molto tempo fa.
Non è stata certo casuale la presenza -in quarta di copertina del mio libro- della poesia “Un altro pranzo, qui nell’osteria”: dà il senso a quello che scriviamo e crediamo.
E’ quindi dal mio ultimo libro “Eppure la vita” che ho tratto due mie poesie sull’autunno -ma soprattutto sul significato della nostra vita- che volentieri ripubblico in questo numero.
Conosco…
Conosco la foglia che cade,
che in autunno indora i viali,
conosco tra i colli la casa,
i suoi muri maestri,
conosco degli alberi le rughe
e la loro persistenza di radici,
conosco il respiro del fiume.
Ma chi mi prenderà per mano,
mi guiderà attraverso la nebbia
verso i monti, mentre spicchi di cielo
a tratti appaiono, scompaiono.
Un altro pranzo, qui nell’osteria
Un altro pranzo, qui nell’osteria,
un certo clima, un’aria famigliare,
un altro giorno che l’autunno inghirlanda.
Questi riflessi d’oro –lo senti sulla pelle-
ancora tanto promettono; così
una sottile gioia ci pervade
di sentirci parte di una qualche festa,
anche se ignota.