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di Antonio Vargiu

DALLA PARTE DEI LAVORATORI

Quello che colpisce, nel dibattito che ha preceduto l’approvazione del cosiddetto “decreto dignità” (1), non sono stati tanto i toni accesi o le polemiche tra Boeri, il presidente dell’Inps e il ministro del lavoro, Di Maio, su quanti disoccupati in più avrebbero prodotto le nuove norme sui tempi determinati, quanto l’assenza, quasi totale, di una visione delle nuove norme dal punto di vista dei lavoratori a cui questi tipi di contratto vengono applicati.

Solo poche voci di sindacalisti si sono levate a difesa delle novità normative, anche se quest’ultime avrebbero potuto prevedere maggiori spazi alla contrattazione  tra le parti al fine di far aderire maggiormente questa tipologia di contratti alle specifiche esigenze dei singoli settori produttivi (turismo, commercio, industria ecc.).

Abbiamo assistito a dotte elucubrazioni di esperti di diritto del lavoro, di professori di diritto del lavoro, di responsabili di associazioni imprenditoriali, ma chi si è messo nei “panni” di un lavoratore, che ha visto sempre più soggetta all’incertezza la propria condizione di lavoro?

Si parla di giovani, di provvedimenti per incrementare il lavoro giovanile, ma cosa stanno trovando nei fatti i giovani? Contratti a termine usati dapprima come una specie di prolungamento del periodo di prova, ma, successivamente, diventati uno dei modi per “incrementare” il loro precariato.

Sì, perché le norme che erano in vigore fino a prima del decreto prevedevano, ad esempio, che nell’ambito dei 36 mesi erano possibili 5 proroghe (fatte salve le brevi interruzioni previste per sottolineare la cesura del rapporto di lavoro ed impedirne la prosecuzione a tempo indeterminato).

Dopo quanto un giovane lavoratore avrebbe potuto avere la certezza di un rapporto di lavoro su cui costruire il proprio avvenire, quando la certezza di far rispettare i suoi diritti (la Costituzione è davvero entrata nei luoghi di lavoro?) mentre ogni 5/6 mesi si avvicinava una scadenza che avrebbe potuto espellerlo dalla propria azienda?

 

Commenti incredibili

A parte le previsioni del presidente Inps, Tito Boeri, di 8 mila posti di lavoro in meno all’anno per 10 anni per effetto dei nuovi provvedimenti, previsioni che – da un punto di vista economico- da una parte non tengono conto di una variante decisiva -la fase economica che attraverserà in nostro paese, condizionata sia dal livello internazionale che dalle decisioni interne dei nostri governi-, dall’altra danno un ulteriore alibi preventivo a molti “imprenditori” italiani abituati non ad affrontare il mercato, ma a sopravvivere con sovvenzioni e con l’abbattimento del costo del lavoro a prescindere, con il risultato dell’aggravamento della fase recessiva, che abbiamo appena vissuto, e l’incapacità di incrementare i livelli di produttività.

Certamente deludono anche i commenti di una certa parte “progressista”, che ha preso spunto anche da queste norme per attaccare il governo da posizioni che ci ricordano ancora l’elogio degli “eroici” imprenditori di renziana memoria, dando il negativo segnale che il “liberismo alla Tony Blair” è duro a morire anche a sinistra.

Infine, per capire a che punto di insensatezza può arrivare la polemica anche da parti che dovrebbero essere serie, citiamo lo “speciale” di Italia oggi, “I nuovi contratti a termine”, in cui, nell’editoriale introduttivo “Un decreto che aumenta la precarietà, invece che ridurla” (fin qui poco da dire: ognuno può avere la sua opinione, anche se a nostro parere non fondata), si arriva a scrivere: “Il decreto dignità è un ritorno di fiamma dell’ideologia stalinista, alla Mao Zedong (sic!): quella che presumeva di dirigere l’economia e di moltiplicare i posti di lavoro con le regole dettate dall’alto”.

 

Quando l’Europa ammoniva: evitiamo le “trappole” della precarietà.

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Oggi oramai è di moda parlare sempre male e su tutto della Comunità Europea, di cui siamo tra i “soci fondatori”.

Certamente non abbiamo, lesinato critiche, in buona compagnia peraltro, sui modi con cui si è affrontato la più lunga crisi economica e finanziaria dal dopoguerra.

Ma è anche vero che, nella Comunità Europea, ci sono forze che credono nella necessità di una Europa sempre più sociale, se vuole resistere alla attuale crisi, sottolineata dall’emergere di forti spinte “sovraniste” ed autoritarie.

E’ il contrario degli obiettivi di chi aveva dato vita all’Unione sulle ceneri di una guerra sanguinosa, che ha avuto al centro lo scontro tra democrazia e dignità dell’uomo (di tutti gli uomini) e totalitarismi fascisti e degradazione dell’umanità.

Fatta questa premessa crediamo sia molto istruttivo riportare quanto scriveva, a proposito della precarietà, dieci anni fa, il prof. Lorenzo Zoppoli (2):

“Quindi il problema principale degli attuali equilibri regolativi è come combinare la flessibilità con la qualità. Problema di notevole vastità; all’interno del quale però il termine “precarietà” circoscrive una zona di pericolo rosso, dalla quale l’Unione Europea, con forza e convinzione crescenti, invita a star lontani. Anche perché quella zona appare disseminata di “trappole” persino alla Commissione europea che, nel novembre del 2006, lanciò il famoso Libro verde, nel quale a proposito della “diversificazione dei tipi di contratto” si afferma che “può avere effetti negativi” perché “una parte dei lavoratori rischia di cadere ancora nella trappola del succedersi di attività di breve durata e di bassa qualità, con un insufficiente livello di protezione sociale, che li lascia in una condizione di vulnerabilità”. Anche se subito dopo la medesima Commissione si affretta a precisare che “questi impieghi possono tuttavia servire da trampolino per alcune persone, spesso quelle che hanno particolari difficoltà per integrarsi nel mercato del lavoro”.

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 La metafora del contratto-trampolino, pur non essendo del tutto pretestuosa, non basta però a fugare quella, ben più angosciosa, dei contratti-trappola, che infatti torneranno con insistenza nel dibattito avviato dal citato Green paper.

Al punto che in questo settore i più recenti sviluppi del diritto comunitario del lavoro paiono in prevalenza muoversi in direzione dell’irrobustimento delle regole idonee a bonificare il terreno della flessibilità dalle trappole della precarietà o della disoccupazione”.

Una prima conclusione

Siamo partiti da un primo ragionamento relativo ai contratti a termine per entrare in un argomento più ampio: quello relativo ai tempi infiniti, per chi entra mondo del lavoro, per raggiungere un minimo di stabilità.

Siccome siamo soliti prendere in grande considerazione “la dignità” dei lavoratori, ci riproponiamo di affrontare anche una serie di altri argomenti fortemente correlati. Ad esempio come non criticare il capitolo del decreto 87/2018 relativo ai voucher, che significa ampliare la possibilità, veramente poco dignitosa, di inserire nelle aziende lavoratori senza contratto?

A breve, quindi, per ulteriori approfondimenti.  

 

  1. Decreto legge n.87/2018, pubblicato in Gazzetta Ufficiale con il n.161 del 13 luglio 2018, recante “disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese”.
  2. Il contratto a termine e le trappole della precarietà, di Lorenzo Zoppoli, 2008  www.europeanrights.eu

 

I nuovi contratti a termineDal 12 agosto sono entrate in vigore le norme previste dal decreto di conversione 96/18,che ha tra l’altro previsto il rinvio dell’obbligo di specificare la causali per tutti i rinnovi a tutto il 31 ottobre 2018. Dal 1° novembre 2018 entreranno invece in vigore tutte le nuove regole.
Forma: atto scritto.
CAUSALE
Fino a 12 mesi Non necessaria
Oltre 12 mesi e fino a 24 mesi
  1. a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero sostitutive di altri lavoratori;
  2. b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.

Da queste esigenze sono esclusi i contratti stagionali.

 

PROROGHE
Numero massimo         4 volte, oltre il contratto si trasforma a tempo indeterminato.
“Pause”         Non cambiano: –10 gg.fino a 6 mesi;– 20 gg. oltre i 6 mesi.

 

 

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