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Una provocazione di Cesare Viviani (1), noto e più volte premiato poeta!

                                                      

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Il perché di questa affermazione può essere così sintetizzata:

La poesia è finita… Diranno in coro: sarà finita la tua poesia, ma la nostra no!

Ma non è questione di mia o vostra. Insisto: forse non vi accorgete che la poesia non trova più ascolto. Non c’è più spazio per la poesia. Il troppo pieno, la parola piena, la comunicazione continua hanno sepolto i migliori poeti del secondo Novecento: non si leggono più, non hanno più la considerazione che prima, trenta anni fa, si dava loro. Tra vent’anni nessuno saprà più chi erano Saba, Erba, Giudici, Luzi, Zanzotto, Sereni, Raboni, Porta… Solo qualche solitario ricercatore universitario… ma saranno pochissimi studiosi. La poesia sarà irrilevante, sarà scomparsa.

Si è detto: la quantità ha spento la qualità. La quantità di internet, della ipercomunicazione pubblicitaria, dei supermercati, dei centri commerciali e di ogni tipo di esposizione e di vendita. Uno dei tanti effetti di distruzione provocata dall’alluvione continua della quantità è la scomparsa (o quasi) di quella sensibilità che faceva distinguere la poesia dalle composizioni in versi (non poesia)… La poesia non può essere affabile, accattivante, popolare, attraente l’immediata emotività: perché la scrittura che ha queste caratteristiche è cattivo giornalismo in versi…”.

Noi abbiamo parlato spesso su questo sito del ruolo della poesia e del poeta oggi.

Possiamo dire che, “al tempo di internet” non c’è più spazio per le “torri d’avorio” in cui si rinchiudeva –in altri tempi- la letteratura.

Ovviamente non abbiamo mai pensato che improvvisamente siamo diventati “tutti poeti”, anzi siamo sempre più convinti della necessità di separare “il grano dal loglio” (tanto per ispirarci all’immagine che caratterizza il nostro sito).

Ma siamo anche profondamente convinti che la poesia debba uscire dai propri recinti tradizionali.

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Non a caso abbiamo ospitato diversi articoli sulla scuola di Ernesto Cardenal, che ha diffuso l’amore per la “scrittura in versi” anche tra i bambini, gli anziani, i malati, e su Franco Loi, che continua a raccontare la sua avventura poetica in costante contatto con le nuove generazioni.

Per quanto mi riguarda – per scelta o per necessità? è “buona la prima!”- ho più volte esplicitato il mio progetto di diffondere i miei versi, non solo -come potete vedere scorrendo i titoli degli articoli del sito- attraverso gli strumenti tradizionali, i libri nelle sue diverse forme, ma anche attraverso quelli consentiti dalle nuove tecnologie informatiche o altri, come le performances multi- artistiche ecc.

Il tutto per penetrare nuovi spazi e per sfatare il pregiudizio per cui un sindacalista non può scrivere versi e lavoratrici e lavoratori non ne possano né leggere né, a propria volta, scriverne.

Gli haiku (2).

A proposito della diffusione della poesia, che può diventare veramente popolare,  prendiamo esempio dal Giappone e dalla sua passione per la lettura e per la creazione di haiku, una tradizionale composizione poetica, molto breve ma capace di esprimere contenuti molto profondi.

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Ecco due esempi presi da uno dei maestri di questo tipo di composizione : Matsuo Basho (1644 – 1694).

Silenzio.
Graffia la pietra
un canto di cicale.

Nello stagno antico
si tuffa una rana:
eco dell’acqua.

 

Per quanto riguarda l’indice di popolarità, basti pensare al fatto che tutti i giornali giapponesi hanno rubriche dedicate agli haiku, che questa composizione viene insegnata a scuola e che vengono indetti concorsi di composizione.

Tra questi ultimi il più importante è quello di Ito-en, un produttore di tè verde e altre bevande analcoliche. Nei ultimi venti anni il concorso di Ito-en “Oi Ocha! ” (“Mi porta il tè!”) ha ricevuto 16 milioni di haiku in totale. Ogni anno duemila haiku scelti vengono stampati sulla bottiglie di “Oi Ocha!” Quando una sua poesia è scelta, l’autore o l’autrice riceve una scatola di bottiglie di tè su cui è stampato l’haiku. Questo concorso offre 500.000 yen (3.700 euro) al vincitore o alla vincitrice del primo premio. Ma, la gente scrive gli haiku per il piacere di avere riconosciuto il proprio haiku.

Perchè, su ogni bottiglia di “Oi Ocha!” si possono trovare gli haiku della gente comune!

Non si può dire, quindi, che la poesia è morta, diciamo che sta cambiando abitudini! Ma su questo argomento non mancheranno approfondimenti sui prossimi numeri del nostro sito.

  1. Cesare Viviani, La poesia è finita, Il Melangolo, 2018.

(2) L’ haiku (俳句? [häikɯ]) è un componimento poetico nato in Giappone nel XVII secolo. Generalmente è composto da tre versi per complessive diciassette more [1], secondo lo schema 5/7/5.

       [1]   Una mora è un’unità di suono usata in fonologia che determina la quantità di una sillaba. Il termina, tratto dal latino, significa “ritardo”, “indugio”.

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