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  1. Le associazioni imprenditoriali sempre più lobby e sempre meno associazioni “generali”.

Anche le associazioni imprenditoriali sono andate profondamente trasformandosi dentro questa crisi, la più lunga nella storia del Paese. Sicuramente hanno introiettato la convinzione che ogni realtà, ogni settore, deve cercare la “salvezza” per conto proprio. Come dice la canzone, “ognuno pensa a sè stesso”, utilizzando le proprie risorse (nei rari casi in cui se ne hanno) o facendo pressioni, in vari modi, sulle istituzioni e sui governi.

Il risultato è la disarticolazione crescente, il cui primo impatto è soprattutto sulla contrattazione.

Il primo esempio, negativo, è stato dato dalla Fiat di Marchionne. La trasformazione in multinazionale con baricentro in America e, comunque, fuori dall’Italia, ha avuto come corollario la decisione di uscire dal contratto nazionale dei metalmeccanici e di dare vita ad un metodo di contrattazione sostanzialmente incardinato su un solo livello, coincidendo quello nazionale e quello aziendale.

Sono seguiti numerosi altri esempi di disarticolazione associativa e di messa in discussione dei contratti nazionali. Per quanto riguarda i settori seguiti dalla nostra Federazione del Terziario, possiamo ricordare un rinnovo del ccnl Turismo non accettato da tutte le articolazioni di una stessa confederazione (Confcommercio), l’uscita dell’Angem (mense) da Confcommercio e dal ccnl Turismo, l’uscita di Federdistribuzione (grande distribuzione) da Confcommercio e dal ccnl Terziario.

Tutti episodi importanti, miranti a sostituire contratti nazionali vigenti con altri che realizzino un abbattimento del costo del lavoro. Nel caso di Federdistribuzione c’è stato anche uno “scippo”, fatto ai lavoratori e ai sindacati che li rappresentano, del fondo di assistenza sanitaria integrativa: senza chiedere il permesso a nessuno Federdistribuzione ha preso i suoi dipendenti iscritti a Est, il fondo sanitario istituito dal ccnl Terziario e li ha “infilati” dentro una polizza sanitaria privata “amica”.

La tendenza di questo mondo imprenditoriale sembra essere quella di chi accetta la retrocessione dell’Italia nella divisione internazionale del lavoro, predisponendosi a sopravvivere attaccando in varie forme (diminuzione della paga oraria, abbattimento delle ore lavorate, ecc.) i redditi da lavoro dipendente.

  1. Le organizzazioni sindacali senza una strategia comune. Unico accordo: come andarsi a contare.

Sicuramente i cambiamenti produttivi in atto nel nostro paese hanno modificato la composizione del mondo del lavoro: industria in continuo regresso, e non solo a motivo delle varie crisi che hanno colpito il paese.

La città di Torino, dove recentemente si è tenuto il X Congresso nazionale della Uiltucs, è esemplare da questo punto di vista: per tanti anni città operaia, che viveva al ritmo delle fabbriche della Fiat, oggi per necessità, ma riscoprendo anche una sua vocazione, si sta trasformando in una città del Terziario, facendo perno sulle competenze del Politecnico o sui suoi monumenti e sulla sua storia culturale, moltiplicandi i servizi alle imprese, alle persone ecc.

Ma non è solo questo cambiamento strutturale che ha impattato sulla forza delle organizzazioni sindacali, visto che Federazioni nazionali come la Uiltucs si sono poste in modo positivo nei confronti dei cambiamenti in atto e ne sono uscite rafforzate. Quello che dà, invece, ai sindacati confederali un minor peso di interlocuzione è l’assoluta divaricazione di strategie e anche di comportamenti pratici, se è vero, come è vero, che anche quando si è d’accordo su una azione di lotta (per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego, per il rinnovo di tutti i contratti scaduti ecc.), ci si divide se proclamare o no lo sciopero generale prima di essere ricevuti dal governo o, nel caso di risposte insoddisfacenti, sulla data in cui proclamare lo sciopero generale oppure se fare uno sciopero generale o solo settoriale ecc.

L’unico accordo sottoscritto da Cgil Cisl e Uil negli ultimi tempi è stato quello sulla rappresentanza: in pratica sui modi con cui andare a contarsi sui luoghi di lavoro. Cosa lodevole, anche se dettata dalla volontà di prevenire un intervento legislativo in materia. Certamente del tutto insufficiente per fare del sindacalismo confederale oggi non solo un interlocutore maturo delle istituzioni, ma anche un argine alla crescita di una miriade di sindacatini autonomi.

Da queste “asimmetrie”, che non giovano certo nè alla autorevolezza dei sindacati nè alla causa dei lavoratori, dovrebbe nascere almeno l’esigenza di un confronto preventivo tra Cgil, Cisl e Uil per cercare di concordare sia sull’analisi della situazione che, soprattutto, sulle cose da fare, in modo che le loro prese di posizione abbiano un maggiore forza nei confronti del governo e delle controparti imprenditoriali.

  1. La concertazione è finita.

In conclusione, la concertazione è finita perchè sono cambiati sia i soggetti che le volontà degli stessi. Eppure si continuano a fare battute (a sproposito).

Quando si dice: “quando si sente parlare di concertazione ci preoccupiamo subito di quello che ci possono chiedere”, in realtà non si capisce di cosa si parla. Il governo non si sogna più di chiedere, ma agisce senza e anche contro i pareri delle organizzazioni sindacali. Un esempio: tutti gli interventi sul fisco, che pure hanno a che fare direttamente sui redditi dei lavoratori. Non parliamo poi dell’art.18, o, per meglio dire, del diritto dei lavoratori di essere trattati come “cittadini” e non come “sudditi” sui luoghi di lavoro.

Altra considerazione: nel momento in cui il governo non è assolutamente interessato a garantire un sistema di contrattazione come quello attuale, frutto a suo tempo di accordo tra le parti, dobbiamo aspettarci momenti molto difficili rispetto a tutte le contrattazioni nazionali in corso, non solo quelle riguardanti il pubblico impiego. Anche questa è una certezza in più che viene a mancare. E non ci sembra un caso che la Confindustria sia molto soddisfatta delle attuali prese di posizione del governo.

Per le organizzazioni sindacali confederali (tutte) si apre, quindi, una fase di riflessione, che punti a riscoprire i valori della propria rappresentanza, a partire dai luoghi di lavoro. Ma non solo. Comunque di questo parleremo nelle prossime “puntate”, con alcune nostre riflessioni, ma anche con il contributo di altri sindacalisti (o ex sindacalisti), che hanno fatto la storia della nostra organizzazione.

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