1. Dentro la crisi più lunga.
Siamo, dunque, all’oggi e al che fare per un sindacato riformatore e che crede che, nonostante tutto, sia ancora possibile mediare e conciliare gli interessi del capitale produttivo e del lavoro. Questa è anche la lettura degli ultimi due slogan della Uil, basati sul riconoscimento del “valore del lavoro” e sulla necessità del “riscatto del lavoro”, elemento propulsivo per qualsivoglia ripresa produttiva del paese.
Lo scenario politico-economico è certo deprimente. Siamo dentro nella “crisi più lunga” e non solo di questo dopo-guerra. L’Europa a guida tedesca sta facendo passare il concetto che non esiste più un “modello renano”, che il “welfare” non è più compatibile con l’economia di mercato, dominata da un capitale finanziario senza più confini nè patrie.
Come abbiamo visto, scompaiono le “solidarietà-paese” e, quindi, anche la concertazione. Il cattivo esempio parte da chi ha responsabilità istituzionali, ma coinvolge in pieno le associazioni imprenditoriali, già comunque fragili dal punto di vista dell’adesione e della coesione tra i diversi interessi datoriali.
Per il sindacato si pone, quindi, il problema della rivisitazione della propria strategia, visto che il patto del luglio ’93 è stato superato, ma sostituito dal nulla assoluto.
2. Ripartire dai luoghi di lavoro
Certamente si deve ripartire dai luoghi di lavoro. E’ vero che i “vecchi” sindacalisti laburisti inglesi amavano citare la “massima” secondo la quale “il sindacato è forte in un’economia forte”, ma è anche, peraltro, vero che il sindacato nasce quando il lavoratore era veramente “proletario”, sfruttato e costretto a condizioni di lavoro e di esistenza misere.
Oggi constatiamo nel nostro settore, quello del terziario, a forti riduzioni di personale: chi dice che oggi in Italia è difficile licenziare dice una evidente bugia e noi lo invitiamo a farci compagnia nella quotidiana via crucis al Ministero del lavoro, da dove si esce, quando va molto bene, con contratti di solidarietà, ma più spesso con casse integrazioni e cessazioni del rapporto di lavoro anche ad età molto critiche (dopo i cinquantanni e senza “agganci” con la pensione).
Nello stesso tempo, pur in presenza, anzi proprio perchè in presenza di licenziamenti collettivi, i lavoratori sentono la necessità di non essere lasciati in balia degli “eroici” datori di lavoro, chiedono tutele collettive e, pur in circostanze critiche, tornano ad aderire alle organizzazioni sindacali.
Nei luoghi di lavoro stanno le nostre radici, lì è la nostra risposta a chi vuole affermare che solo la politica può rappresentare i lavoratori.
3. Una strategia più ampia a sostegno delle vertenze aziendali.
Sono rarissime, oggi, le “contrattazioni acquisitive”: accordi aziendali, cioè, che prevedano anche premi di produttività o simili. Molto più spesso si fanno accordi per attutire le richieste di riduzione di personale o per definire regole per le relazioni sindacali o, quando va proprio bene, per conciliare lavoro e vita, resa sempre più difficile soprattutto nel commercio, dopo la completa liberalizzazione degli orari (cosa che altri settori, pur danno servizi al pubblico, si guardano bene dal fare).
Ma già da questo impegno emerge come il rapporto/confronto e, alcune volte, anche scontro con gli imprenditori non basta: per gli ammortizzatori sociali servono risorse pubbliche e anche impegno delle parti sociali, compresi gli imprenditori che, invece, si defilano, come ad esempio nel caso della cassa integrazione in deroga.
Le singole vertenze per difendere le nostre ultime risorse produttive sono necessarie, ma necessitano di un quadro più ampio di politiche industriali e di settore.
Non vogliamo entrare qui nel merito di quest’ultimo tema, che comunque resta uno dei nodi essenziali che dovrebbero affrontare le forze politiche del nostro paese, ma che dubitiamo fortemente siano in grado di farlo, visto il ritorno al solito “ritornello” delle privatizzazioni, preludio alla vendita (svendita) degli ultimi “gioielli di famiglia”. La famosa “flessibilità” delle regole europee, a gran voce invocata, non si è ancora capito come dovrebbe, se ottenuta, essere utilizzata nel nostro paese.
4. Le battaglie del Terziario.
Ogni sindacato di categoria è oggi impegnato in battaglie fondamentali: nel terziario il nocciolo è costituito dalla necessità di conciliare vita e lavoro. Non solo perchè nel settore c’è una forte presenza di lavoratrici, ma perchè tutti i lavoratori sono stretti in una tenaglia datoriale che punta, da una parte, sia a congelare, se non anche a diminuire, le attuali retribuzioni, dall’altra a ridurre e a flessibilizzare l’orario di lavoro, con pesanti conseguenze sui redditi famigliari.
E’ questa la strada per cui, anche nel nostro paese, si sta creando una categoria di “lavoratori poveri”. Eppure nonostante questo, il sindacato riesce a radicarsi e a crescere. In particolare nel commercio dove vi sono ancora aziende che, vanno dagli ottocento ai due-tremila addetti, in cui si può ancora lavorare per accrescere la nostra presenza organizzata.
5. Il welfare contrattuale.
Nello stesso tempo il sindacato del Terziario ha fatto crescere un welfare, che coinvolge tutte le imprese che applicano il nostro contratto nazionale: un esempio estremamente concreto è dato dal fondo di assistenza sanitaria integrativa, Est, molto importante soprattutto in questo periodo in cui si sta riducendo, nei fatti, il sacrosanto diritto dei cittadini ad una tutela pubblica della salute. Qui non c’è distinzione tra piccola, media o grande azienda, tra lavoratori di serie A o di serie B: il piano sanitario si estende a tutte le realtà che applicano il ccnl.
Nelle poche aziende che riescono a farlo non si escludono forme di “welfare aziendale” mirato al pagamento, anche parziale, delle rette per asili nido o di buoni per i libri o di abbonamenti per i trasporti pubblici ecc.
In più interviene la bilateralità territoriale, in realtà soprattutto del centro nord, con forme di sostegno al reddito, contributi per natalità, sostegno per figli disabili ecc.
Ovviamente questo orizzonte non è sufficiente. Del resto la Uil ha cercato di caratterizzarsi e di organizzarsi, fin dalla fine degli anni ’80, per intuizione dell’allora segretario generale, Giorgio Benvenuto, come “sindacato dei cittadini”. Come un sindacato, cioè, che punta a difendere i lavoratori anche fuori dalle proprie aziende, affrontando temi come la salute, l’equità fiscale ecc.
Ma di questo parleremo nelle prossime “puntate”.