A proposito del I di un lavoratore a distanza, spesso a grandissima distanza, dalla propria sede di lavoro, dobbiamo distinguere nettamente due casi: quello in cui le esigenze aziendali giustificano il trasferimento e quello, molto più numeroso -ce lo dice la nostra esperienza- in cui il trasferimento equivale a costringere il lavoratore a dare le proprie dimissioni o a subire -come provvedimento disciplinare- il licenziamento per essersi rifiutato di trasferirsi nella nuova sede.
In effetti le norme di legge e di contratto limitano allo stretto necessario questa disposizione aziendale, ma il contenzioso, purtroppo nutrito, mette in evidenza come sia diffusa nella “linea di comando” delle aziende la convinzione che il potere manageriale non abbia limiti e possa quindi disporre dei mezzi produttivi, tra cui il “lavoro”, in modo del tutto unilaterale.
Tutto questo, ovviamente, non ha fondamento e ce lo ricordano diverse sentenze, anche del grado di giudizio più alto, cioè di Cassazione.
Brevemente vogliamo qui tracciare i confini del potere dispositivo delle aziende, desumendoli sia dalle norme di leggi e di contratto che, appunto, da alcune recenti decisioni dei giudici.
Quando è possibile disporre il trasferimento.
Intanto diamo una prima definizione: il “trasferimento” di un lavoratore è la modifica definitiva della sua sede di lavoro originaria (quella per intenderci indicata nella lettera di assunzione) o successivamente modificata.
Da distinguere, quindi, dalla semplice trasferta, con cui si dispone un’operatività del lavoratore “fuori sede”, ma temporaneamente e per brevi periodi.
Certamente il trasferimento costituisce una delle forme con cui si manifestano i poteri organizzativi e direttivi del datore di lavoro, ma, come abbiamo indicato prima, con precisi limiti.
Quello principale è indicato dall’art.2103, 1°comma, (ultime due frasi), del codice civile:” Il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
…ogni patto contrario è nullo“.
Ulteriori limiti sono disposti sia da norme di legge che contrattuali con riferimento a condizioni particolari dei lavoratori: ad esempio disabilità fisiche, anzianità anagrafica, svolgimento di particolari mansioni o di incarichi politici e sindacali.
In particolare ricordiamo che non possono essere trasferiti senza previo consenso:
a) i lavoratori gravemente handicappati (1);
b) il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste o è affidatario di persona
con handicap in situazione di gravità (1);
c) i rappresentanti sindacali aziendali (2), rispetto ai quali è necessario il nulla osta dell’organizzazione sindacale di appartenenza.
Passiamo, quindi, ad analizzare alcune importanti ed istruttive sentenze.
QUANDO IL TRASFERIMENTO NON E’ GIUSTIFICATO
La sentenza che prendiamo in esame è abbastanza recente, del dicembre 2017 (3) e riconferma i criteri principali che devono essere alla base della decisione aziendale di operare un trasferimento.
A questo proposito è ovviamente importante saper applicare ai casi concreti le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”.
In linea generale con queste espressioni si può intendere l’impossibilità oggettiva per un lavoratore di prestare attività lavorativa nella sede originaria, l’indispensabilità dello stesso nella sede di trasferimento in ragione delle competenze specifiche dello stesso, le esigenze oggettive della produzione.
Si tenga presente che le motivazioni poste alla base del trasferimento non devono comunque essere dettagliatamente indicate al lavoratore, tuttavia, se questi ne fa richiesta, il datore di lavoro è tenuto a comunicarle per iscritto.
I FATTI
Ovviamente quando si tratta di una vertenza giunta al terzo grado di giudizio, due di merito e uno di legittimità, dobbiamo andare lontano nel tempo: l’episodio contestato risale, infatti, all’ottobre del 2003.
L’azienda L.R. Srl licenzia un suo dipendente, di cui era stato disposto il trasferimento da Pomezia a Milano sulla base di due presupposti:
-
una diversa organizzazione aziendale nell’unità produttiva, che avrebbe reso il lavoratore in esubero (giustificato motivo oggettivo);
-
il rifiuto del lavoratore di trasferirsi.
Nei primi due gradi di giudizio l’azienda soccombe e viene condannata alla reintegra del dipendente. Arriviamo, quindi, in Cassazione.
LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Gli avvocati dell’azienda, in questa sede, lamentano dapprima la circostanza che i giudici di merito hanno valutato fatti successivi al licenziamento stesso e che alcune testimonianze non sono state esaminate in modo compiuto.
Ma a questo è facile la replica della Cassazione: non è questa la sede per valutare i fatti concreti, cosa che spetta ai giudici di merito. Qui siamo nell’ambito della verifica della legittimità.
Ragionando, appunto, di legittimità della condotta del lavoratore, la Suprema Corte ricorda come “il mutamento della sede lavorativa deve essere giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, in mancanza delle quali è configurabile una condotta datoriale illecita, che giustifica la mancata ottemperanza a tale provvedimento da parte del lavoratore…”.
Questo invece non è stato fatto dall’azienda, che, pur avendo l’onere di provare la presenza di fondate ragioni a giustificazione della propria decisione, non l’ha invece fatto, portando solo motivazioni generiche.
Ovviamente la condotta del lavoratore deve essere “proporzionata all’inadempimento” dell’azienda. In effetti –sottolinea la Corte- è quello che si è verificato, perché il lavoratore, pur non essendosi trasferito a Milano, ha accompagnato questo rifiuto con la sua disponibilità concreta a prestare servizio presso la sede originaria.
Per questo il ricorso dell’azienda è stato respinto e il licenziamento dichiarato illegittimo.
Ma gli orientamenti dei giudici non sono univoci.
Soprattutto un punto è ancora molto controverso. Si tratta del comportamento del lavoratore nei confronti del provvedimento di trasferimento: è obbligato o no, in caso di opposizione, a “prendere servizio” nella nuova sede indicata dall’azienda?
A questo proposito dobbiamo citare una recentissima sentenza di Cassazione (4), che abbinando il rifiuto della nuova sede di lavoro ad una forma di opposizione al provvedimento “stragiudiziale”, molto più lenta rispetto all’impugnazione presso il tribunale, ha giustificato in pieno il licenziamento disciplinare operato dal datore di lavoro, facendo riferimento al danno sproporzionato subito dall’azienda a causa del rifiuto del lavoratore a spostarsi.
Cosa deve fare il lavoratore per contestare il trasferimento.
In via preliminare vogliamo sottolineare come la legge prescriva un “periodo congruo” di preavviso da parte dell’azienda.
La contrattazione nazionale dei vari settori in molti casi ne ha stabilito i giorni. Il ccnl Tds (confcommercio) (5), ad esempio, dispone che per “i quadri” il preavviso sia pari a 60 giorni, aumentati a 80 giorni per chi ha famigliari a carico; per i “lavoratori con responsabilità di direzione esecutiva, inveca, il preavviso sarà, rispettivamente, di 45 e 70 giorni. .
Detto questo, che deve fare un lavoratore che ritenga di non dover essere trasferito?
Il nostro consiglio:
1. innanzitutto il lavoratore deve chiedere all’azienda le motivazioni che sono alla base del trasferimento (l’azienda è obbligata a dichiararle in maniera dettagliata solo su richiesta);
2. in secondo luogo deve manifestare la sua opposizione dentro i tempi che, per la giurisprudenza, sono gli stessi di quelli previsti per opporsi al licenziamento, cioè 60 giorni, facendosi assistere – è il nostro consiglio- da una organizzazione sindacale;
3. con questa assistenza utilizzare i giorni del preavviso per trovare una soluzione nel confronto tra le parti;
3. in caso negativo, predisporre rapidamente il ricorso al tribunale territorialmente competente, in modo da ridurre il più possibile i tempi per una decisione di merito.
ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI
La casistica relativa al trasferimento del singolo lavoratore è molto ampia e spesso favorevole al lavoratore.
Va però posta molta attenzione, come abbiamo più volte sottolineato, al caso concreto. L’azienda, ad esempio, deve provare non solo l’ “esubero” su uno specifico posto di lavoro, ma anche la necessità di utilizzare le capacità tecnico-professionali di quel lavoratore nel posto in cui viene trasferito. Inoltre l’azienda deve dimostrare di non avere a disposizione altri posti di lavoro più vicini e, quindi, meno penalizzanti.
E’ bene, quindi, che il lavoratore si rivolga subito ad una organizzazione sindacale, che lo può aiutare ad avere un quadro complessivamente più preciso della situazione occupazionale dell’azienda e che lo può eventualmente assistere anche nella vertenza legale.
(1) Legge 5 febbraio 1992, n. 104, art. 33 – Agevolazioni,
«5. Il lavoratore di cui al comma 3 (cioè il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste o è affidatario di persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti -ndr) ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.
6. La persona handicappata maggiorenne in situazione di gravità può usufruire alternativamente dei permessi di cui ai commi 2 e 3, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferita in altra sede, senza il suo consenso».
(2) Legge 20 maggio 1970 n. 300, art. 22 – Trasferimento dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali:
«1. Il trasferimento dall’unità produttiva dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali di cui al precedente articolo 19, dei candidati e dei membri di commissione interna può essere disposto solo previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza Le disposizioni di cui al comma precedente ed ai commi quarto, quinto, sesto e settimo dell’articolo 18 si applicano sino alla fine del terzo mese successivo a quello in cui è stata eletta la commissione interna per i candidati nelle elezioni della commissione stessa e sino alla fine dell’anno successivo a quello in cui è cessato l’incarico per tutti gli altri».
(3) Cassazione, sezione lavoro, sentenza n.29054, 5 dicembre 2017.
(4) Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n. 16697 del 25 giugno 2018.
(5) alcuni articoli del ccnl TDS (confcommercio), che trattano dei trasferimenti:
Art. 112 Trasferimenti
Fermo restando quanto previsto dagli artt. 170 e 171, il trasferimento dei Quadri che determini il cambiamento di residenza verrà di norma comunicato per iscritto agli interessati con un preavviso di 60 giorni ovvero di 80 giorni per coloro che abbiano familiari a carico.
In tale ipotesi ai lavoratori di cui al comma precedente sarà riconosciuto, per un periodo massimo di 12 mesi, il rimborso dell’eventuale differenza del canone effettivo di locazione per un alloggio dello stesso tipo di quello occupato nella località di provenienza.
Qualora il periodo di preavviso previsto dal primo comma del presente articolo non venga rispettato in tutto od in parte, al quadro per il periodo di preavviso residuo spetterà il trattamento di trasferta di cui all’art. 167, nonché un rientro presso la precedente residenza.
Il Quadro che abbia compiuto il 55° anno di età, può opporsi al trasferimento disposto dal datore di lavoro
esclusivamente in caso di gravi e comprovati motivi.
Ove il datore di lavoro intenda confermare il trasferimento, il Quadro può fare ricorso al collegio di conciliazione e arbitrato previsto ai successivo art. 113.
Art. 170 Trasferimenti
I trasferimenti di residenza danno diritto alle seguenti indennità:
a) al lavoratore che non sia capofamiglia:
1. il rimborso della spesa effettiva di viaggio per la via più breve;
2. il rimborso della spesa effettiva per il trasporto del mobilio e del bagaglio;
3. il rimborso dell’eventuale perdita di pigione qualora non sia stato possibile sciogliere la locazione o far luogo al subaffitto; tale rimborso va corrisposto per un massimo di sei mesi;
4. una diaria nella misura fissata per il personale in missione temporanea pari a quella prevista dall’art. 167 ovvero un rimborso a piè di lista con le modalità indicate nello stesso articolo;
b) al lavoratore che sia capofamiglia e cioè abbia famiglia propria o conviva con parenti verso cui abbia obblighi di alimenti:
1. il rimborso delle spese effettive di viaggio per la via più breve per sé e per le persone di famiglia;
2. il rimborso delle spese effettive per il trasporto del mobilio e del bagaglio;
3. il rimborso dell’eventuale perdita di pigione ove non sia stato possibile sciogliere la locazione o far luogo al subaffitto; tale rimborso va corrisposto per un massimo di sei mesi;
4. una diaria nella misura fissata per il personale in missione temporanea, per sé e per ciascun convivente a
carico; per i figli conviventi a carico la diaria è ridotta a tre quinti.
In luogo di detta diaria il datore di lavoro può corrispondere il rimborso a piè di lista delle spese di vitto ed alloggio sostenute dal lavoratore per sé e per i familiari a carico componenti il nucleo familiare.
Le diarie o i rimborsi di cui al presente articolo saranno corrisposti per il tempo strettamente necessario al trasloco.
Quando il trasferimento comporta anche il trasporto del mobilio, il lavoratore avrà diritto a percepire le diarie o i rimborsi di cui al presente articolo fino a 8 giorni dopo l’arrivo del mobilio.
Il trasferimento dei lavoratori con responsabilità di direzione esecutiva che determini il cambiamento di residenza verrà di norma comunicato per iscritto agli interessati con un preavviso di 45 giorni ovvero di 70 giorni per coloro che abbiano familiari a carico.
In tali ipotesi, ai lavoratori di cui al comma precedente sarà riconosciuto, per un periodo massimo di 9 mesi, il rimborso dell’eventuale differenza del canone effettivo di locazione per un alloggio dello stesso tipo di quello occupato nella località di provenienza.
Art. 171 Disposizioni per i trasferimenti
A norma dell’art. 13 della Legge 20/5/1970, n. 300, il lavoratore non può essere trasferito da un’unità aziendale ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
Il personale trasferito avrà diritto, in caso di successivo licenziamento, al rimborso delle spese per il ritorno suo e della sua famiglia nel luogo di provenienza, purché il rientro sia effettuato entro sei mesi dal licenziamento, salvo i casi di forza maggiore.
– Dichiarazione congiunta al Capo VII –
Le parti, nel riconfermare l’intento di riesaminare in sede di Commissione tecnica l’intera materia delle missioni e trasferte, convengono di concludere i lavori durante la fase di stesura del CCNL e comunque non oltre il 31/12/2005, armonizzando le norme dell’attuale disciplina contrattuale con le vigenti disposizioni di carattere contributivo e fiscale.