I NUMERI OGGI (1)
Il “lavoro agile” prima dell’emergenza Covid.
Sono i dati di partenza che consentono di valutare il cambiamento nella organizzazione di lavoro delle imprese in atto.
Nel 2019 lo “smart working” coinvolgeva circa 570 mila lavoratori, il 20% in più rispetto all’anno precedente.
In prevalenza erano le grandi imprese ad adottare questa nuova modalità di lavoro (58%), mentre era bassa l’adesione sia nelle piccole e medie imprese (12%) che nella pubblica amministrazione (16%).
Il lavoro da remoto era in media 1 giorno alla settimana e normalmente coinvolgeva attività di lavoro individuale.
2020: prima fase dell’emergenza.
In questa fase le cifre sono “volate alle stelle”: il totale ha raggiunto i 6 milioni e 800 mila lavoratori, coinvolgendo il 97% delle grandi imprese, il 58% delle piccole e medie imprese e il 94% della pubblica amministrazione. Il tempo di lavoro da remoto ha superato, mediamente, il 50% di quello contrattuale.
Il maggior numero di smart worker lavora nelle grandi imprese, 2,11 milioni, 1,13 milioni nelle PMI, 1,5 milioni nelle microimprese sotto i dieci addetti e infine 1,85 milioni di lavoratori agili nelle PA. L’esperienza vissuta nella pandemia, seppure forzata e emergenziale, ha dimostrato:
- come un modo diverso di lavorare sia possibileanche per figure professionali prima ritenute incompatibili;
- l’impreparazione tecnologicadi molte organizzazioni.
Più di due grandi imprese su tre hanno dovuto aumentare la dotazione di pc portatili e altri strumenti hardware (69%) e di strumenti per poter accedere da remoto agli applicativi aziendali (65%); tre PA su quattro hanno incoraggiato i dipendenti a usare i dispositivi personali; il 50% delle PMI non ha potuto operare da remoto. A livello organizzativo, invece, è stato difficile mantenere un equilibrio fra lavoro e vita privata per il 58% delle grandi aziende e il 28% dei lavoratori, e per il 33% delle organizzazioni i manager non erano preparati a gestire il lavoro da remoto.
Nonostante le difficoltà, questo smart working atipico ha contribuito a migliorare le competenze digitali dei dipendenti (per il 71% delle grandi imprese e il 53% delle PA), a ripensare i processi aziendali (59% e 42%) e ad abbattere barriere e pregiudizi sul lavoro agile (65% delle grandi imprese), segnando una svolta irreversibile nell’organizzazione del lavoro.
2020: la seconda fase dell’emergenza.
E’ quella che è iniziata dopo il superamento dell’ “isolamento totale”.
Per facilitare il rientro in sicurezza le principali iniziative sono state:
- l’introduzione di regole e linee guida sull’utilizzo degli ambienti (per il 91% delle grandi imprese e il 78% delle PA);
- la definizione di un piano di rientro delle persone con turni per i team di lavoro (88% e 69%);
- l’introduzione di segnaletica per orientare i flussi e incentivare comportamenti sicuri (81% e 64%).
I numeri
Con la possibilità di rientro in azienda abbiamo assistito ad un primo calo significativo dei “lavoratori agili”, che si sono assestati a poco più di 5 milioni, così suddivisi:
- grandi aziende: 1 milione e 600 mila;
- piccole e medie imprese: 890 mila;
- microimprese (sotto i 10 dipendenti) : 1 milione e 180 mila;
- pubblica amministrazione: 1 milione e 320 mila.
da Il Messaggero
2021: alcune previsioni.
Le organizzazioni si stanno attrezzando per tradurre le nuove abitudini e aspettative dei lavoratori in un nuovo approccio al lavoro. Una grande impresa su due interverrà sugli spazi fisici al termine dell’emergenza (51%), differenziandoli (29%), ampliandoli (12%) o riducendoli (10%); il 38% non prevede riprogettazioni ma cambierà le modalità d’uso; solo l’11% tornerà a lavorare come prima. Il 36% delle grandi imprese modificherà i progetti di Smart Working in corso e digitalizzerà i processi.
Ben il 70% di chi ha un progetto di lavoro agile aumenterà le giornate in cui è possibile lavorare da remoto, passando da un solo giorno alla settimana prima della pandemia a una media di 2,7 giornate a emergenza conclusa. Il 65% coinvolgerà più persone nelle iniziative, il 42% includerà profili prima esclusi, il 17% agirà sull’orario di lavoro.
Ovviamente queste previsioni non possono essere assolutizzate, in quanto ci stiamo muovendo su un terreno -quello colpito dalla pandemia- prima totalmente sconosciuto. L’unica cosa certa è che i cambiamenti saranno significativi.
IL “caso” AMERICAN EXPRESS.
A buon diritto può vantare un “diritto di primogenitura”: già nel 2010, infatti, molto prima del varo della legge sul “lavoro agile”, nel rinnovo del contratto integrativo era stato introdotto il “telelavoro”, effettuato cioè da casa, per 50 lavoratori, individuati soprattutto tra i più fragili o che utilizzavano la legge 104/92.
Capita, però, che al momento di fare il “grande salto” Filcams Fisascat e Uiltucs di Roma e Lazio non riescano a “chiudere” un accordo sul “lavoro agile”.
Per descrivere allora e commentare la prima radicale operazione di “lavoro fuori sede” avvenuta nel 2015, ci dobbiamo rifare ad un articolo pubblicato su Repubblica.it (2).
L’iniziativa della filiale italiana di questa grande multinazionale delle carte di credito nasce da una valutazione positiva di un’analoga esperienza fatta dalla casa madre americana.
L’organizzazione del lavoro viene sottoposta ad una attenta analisi.
«In un anno di studio – fa sapere l’allora responsabile delle risorse umane Rosa Santamaria- abbiamo verificato le varie necessità: i forti investimenti sulle tecnologie, le mappature dei diversi ruoli professionali, le architetture degli spazi e dei servizi correlati ad ogni figura»… E, proprio nella fase introduttiva, ci sono state le prime sorprese: «Abbiamo scoperto che il 40% degli spazi erano sottoutilizzati per ferie, malattie e viaggi di lavoro, quindi la nuova macchina organizzativa ha puntato alla soddisfazione dei dipendenti che chiedevano di essere usati al meglio ma cercando di preservare la vita privata».
I dipendenti erano più di mille, ma almeno 300 hanno effettuato il lavoro da casa. Questo perché –continua la Santamaria- abbiamo scoperto che il 40% degli spazi erano sottoutilizzati per ferie, malattie e viaggi di lavoro».
E i risparmi sono stati immediati: meno luce, meno elettricità, meno costi. «Un patrimonio – conclude la Santamaria – che è stato immediatamente investito in tecnologie ma anche nella creazione di isole comuni e cucine perfettamente attrezzate per chi resta in sede”.
Il tutto ottenuto mediante il “lavoro da casa” di due giorni a settimana.
“Tutto questo va bene – commenta Marcello Gregorio, della segreteria della Uiltucs di Roma e del Lazio- ma tante altre cose importanti per i lavoratori sono state sottovalutate. Ad esempio i “controlli a distanza” troppo pervasivi, i costi della connessione a carico dei lavoratori. Poi, su una tematica così innovativa, pensavamo che fosse naturale stabilire un rapporto di concertazione tra le parti. Invece dobbiamo sempre rincorrere l’azienda anche su cose che sembrano scontate, come ad esempio le navette per il percorso dalla stazione di Ponte Galeria alla nuova sede. Alla fine, però, si trovano gli accordi, come ad esempio sul ticket ecc.”.
Ovviamente la pandemia, iniziata un anno fa, con la sua “chiusura totale” ha accentuato l’utilizzo della modalità di lavoro “fuori ufficio” in Amex, che è passata dai due giorni a settimana alla totalità dell’orario di lavoro.
In quest’ottica deve essere inquadrata la decisione di far tornare in azienda le persone da qui a fine anno solo su base volontaria, “per rispettare le esigenze sia di coloro che ancora non si sentono pronti, sia di chi invece preferisce essere in ufficio, perché ad esempio non ha un ambiente domestico ideale per lo smart working. «Noi non abbiamo avuto nessuno impatto sul livello di servizio offerto ai nostri clienti e sui nostri processi operativi, e quindi non c’è ragione per velocizzare il processo di rientro. Ovviamente per chi rientrerà si tratterà di lavorare virtualmente dall’ufficio, perché non si faranno riunioni e non si useranno la mensa, la cucina e le altre zone collettive», conclude Melissa Ferretti Peretti, l’attuale amministratore delegato (3)”.
In conclusione, forse anche per la radicalità dell’esperimento, questo modello non è stato immediatamente replicato. Si è prestato spesso ad essere un “caso di studio” su cui si sono esercitati i “sociologhi del lavoro”. Solo dopo il varo della legge sul “lavoro agile” e sulla base delle sue normative sono cresciute le esperienze nel Terziario, per la maggior parte contrattualizzate. Con la pandemia “è tutta un’altra storia”, che lavoratori e sindacati vogliono però vivere da protagonisti. continua il prossimo numero
- Per quanto riguarda i dati utilizzeremo quelli forniti in merito dall’Osservatorio Smart Working (Politecnico di Milano e Osservatori.net, novembre 2020).
- American Express rivoluzione negli uffici, pc a casa e niente scrivanie: “Il mondo lavorerà così, La Repubblica, 28 settembre 2015.
- Simona Simona Politini, Work-life balance e Smart-working: la ricetta di American Express Italia, digital4.biz, 5 giugno 2020.