Questa volta l’invito alla lettura è un po’ insolito, in quanto proviene da due poeti invitati dal blog ipoetisonovivi.com a scegliere la poesia a loro parere più significativa della vasta produzione del nostro poeta milanese (di adozione).
Riportare le poesie con le motivazioni del perché sono state scelte, ci sembra un’operazione estremamente interessante ed utile per capire sempre più profondamente quello che ha ispirato l’arte espressiva di Franco Loi.
Come abbiamo già spiegato in precedenti articoli Loi scrive in dialetto milanese e quindi noi non milanesi né lombardi abbiamo bisogno di una “traduzione”, con tutti i problemi insiti in questo tipo di operazione, come spiega più avanti Umberto Fiori.
Umberto Fiori consiglia “De Diu sun matt (1)”.
Partiamo quindi da Umberto Fiori, la cui poesia abbiamo già presentato in uno dei primi numeri del nostro sito (n.3 novembre 2014).
De Diu sun matt…
De Diu sun matt, se streppa la cusciensa. |
Di Dio sono pazzo
Di Dio sono pazzo, si strappa la coscienza. |
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Franco Loi (Genova, 1930), da Memoria (Boetti&C., 1991) |
Alla poesia di Franco Loi –una delle più forti e autentiche dell’ultimo Novecento- molti sono costretti ad accostarsi attraverso la traduzione in lingua messa a disposizione dall’autore. Sereni, Fortini, Giudici –lettori decisivi per il riconoscimento critico del poeta negli Anni ‘70- capivano il milanese come si può capire il tedesco, o il russo. Fortuna ha voluto che il sottoscritto –ligure di nascita, deportato a Milano a cinque anni- abbia respirato questo ostrogoto cordiale e spigoloso fin da piccolo. Loi, io lo leggo direttamente in dialetto, e l’ho persino cantato (grazie alla musica del mio amico Tommaso Leddi). Il testo che ho scelto è uno dei miei preferiti; l’imbarazzo che mi trasmette la sua versione italiana (seppure “d’autore”) è rivelatore. Le sviste sintattiche, che nell’originale animano il testo, in italiano risultano goffe e legnose; rimuginare è l’ombra “signorile” di remenâ; l’epiteto luneggiante un penoso ingessamento dell’originale lünenta; il verbo scivola è l’eco insipida dell’etereo slisa. Eccetera. Ascoltata in milanese, questa lirica è la quintessenza della poesia di Loi: una mistica “bassa”, colloquiale e profonda, che rivolta la grande tradizione lirica italiana, infondendole nuova intensità (Umberto Fiori, marzo 2014).
Milo De Angelis consiglia “La gàbia del leun”.
Pubblicato: 23 marzo 2013 Archiviato in: Una poesia al giorno | Tags: Franco Loi
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La gabbia del leone…
La gabbia del leone era di aria, di aria la mia mamma, quel cappello, il braccio di mio padre era di aria sulla mia spalla, le mie mani che stringono, e aria il ridere degli occhi e dolce d’aria di quella vita di cui ho sognato l’acerbo. Erano d’aria loro, e io, chissà, che sono stato fermo a guardarli andare. |
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Franco Loi (Genova, 1930), da L’aria (Einaudi, 1981) |
Il motivo dell’aria attraversa tutta la poesia di Franco Loi. L’aria lo trasporta nel futuro ignoto oppure nelle ombre del passato, come in questi versi segnati dal respiro dell’infanzia. Ed ecco che vediamo Loi bambino, in un giardino zoologico, con il padre e la madre che lo tengono per mano, come in un’antica foto di famiglia. Tutto è invaso dall’aria. La gabbia del leone, il braccio, il cappello, le mani, gli occhi ridenti, tutto un mondo infantile e carico di promesse che Loi ha sempre cantato con la forza struggente della sua voce. La poesia è cadenzata da quest’aria che avvolge ogni cosa e la porta via, compresi i genitori, rapiti dall’aria e condotti in altri tempi e in altri luoghi. Solo il poeta resta lì, fermo, nel turbine delle presenze amate e le vede scomparire per sempre e dà loro l’ultima possibile parola.
Milo De Angelis
- Pubblicato: 28 marzo 2014