di Antonio Vargiu
Una generazione per la quale la Resistenza comincia ad essere una parola vuota e che non ha vissuto la “notte della Repubblica”.
Purtroppo non possiamo non constatare che, nonostante alcuni sforzi notevoli, soprattutto le generazioni intermedie stanno perdendo il senso dei sacrifici di chi ha conquistato anche per noi la democrazia in Italia.
Questo è uno dei tanti frutti avvelenati coltivati da chi ha potuto usufruire di molti interessati megafoni per raccontare la storia del nostro paese unicamente come storia di corruzione delle classi dirigenti.
Conseguentemente si è cercato di buttare alle ortiche il valore dell’impegno di molti italiani per accrescere il benessere collettivo e per difendere dalle molte insidie la democrazia così faticosamente conquistata.
Poca considerazione ha avuto, in questi ambienti, interessati solo a diffondere il qualunquismo e la non partecipazione alla vita pubblica, l’incessante prodursi di movimenti, di lotte e di conquiste sociali, la presenza di un forte movimento sindacale, l’attraversamento di periodi storici “orribili”, la reazione alla stagione delle stragi fasciste degli anni ’70 e ’80, alle quotidiane uccisioni di uomini delle istituzioni e della società civile ad opera delle brigate rosse, agli assassinii delle varie mafie ecc.
Ci sono generazioni che stanno dimenticando o non hanno mai vissuto i sacrifici che hanno comportato le pesanti restrizioni alle libertà individuali avvenute nella “notte della repubblica” (ironia della sorte: in quel periodo mascherare il proprio viso era un reato penale!).
Allora, prima di parlare a sproposito dei sacrifici indotti dalla lotta alla pandemia, è bene tenere a mente il fine: la solidarietà e la coesione sociale, la tutela dei più deboli e fragili, sia dal punto di vista fisico che economico.
Da questo punto di vista ben individua la parte politica e sociale, conservatrice se non reazionaria, la levata di scudi contro una proposta, peraltro nemmeno così sconvolgente e che in America ha trovato consensi anche in una parte di “ricchi”, di una piccola tassa di successione sui grandi patrimoni a favore di provvedimenti per le nuove generazioni. Immediatamente il centro destra ha evocato lo spettro di chi vuole “mettere le mani nelle tasche degli italiani”, dimenticandosi poi di specificare che si sta parlando di grandi patrimoni e di italiani che, magari, nella pandemia, hanno aumentato le proprie ricchezze, mentre la maggioranza si è andata impoverendo.
Ma c’è chi è rimasto in prima linea a combattere il virus per il bene della collettività: medici, infermieri, farmacisti, addetti alla protezione civile ma anche le commesse e i commessi dei negozi alimentari, i lavoratori dell’industria ecc.
Li vogliamo ricordare tutti in questa occasione: considerati prima “eroi” nell’ora della grande paura, “perseguitati” poi dalla follia di minoranze “complottiste”, ma che poi si stanno perdendo nella memoria della gente, desiderosa solo di passare ad altro: vacanze, ripresa del lavoro ecc.
Li dobbiamo ricordare perché chi ha dato esempi così chiari di altruismo costituiscono adesso e lo saranno per il futuro la ”spina dorsale” del nostro paese.
Sì, ancora “fischia il vento”.
Sì, dunque, ci sono ancora segni di speranza che contraddicono il confuso e spesso pretestuoso “chiacchiericcio da social”.
Abbiamo citato l’impegno delle categorie della società civile, aggiungiamo anche una risposta tutto sommato accettabile delle istituzioni, a patto che sappiano trarre frutto da questa dura esperienza.
La lezione che dobbiamo imparare: dobbiamo essere preparati a far crescere quella solidarietà sociale che si renderà necessaria quando cesserà, ad esempio, il blocco dei licenziamenti.
Il ruolo dei sindacati sarà, per molti aspetti, determinante per assicurare un livello importante di giustizia sociale.
La società civile dovrà dare una ulteriore prova di sensibilità e di impegno: a questo proposito rispondere positivamente all’invito delle autorità sanitarie a vaccinarsi non è certo una cosa di minor conto, ma invece è tra le scelte più importanti da fare.
In conclusione un modo giusto di celebrare una festa nazionale importante come quella del 25 aprile è di liberarla da ogni retorica ed attualizzarla, chiedendo a tutti di fare uno sforzo proporzionato alle proprie possibilità per far crescere, in questo momento di grande crisi, quella coesione sociale che abbiamo saputo ricostruire –sempre- dopo ogni nostra grande tragedia nazionale.