Festa della Liberazione “ai tempi del covid”: rinsaldare i valori per battere sia la feroce nostalgia del passato che un certo “ribellismo anti-istituzionale”.
-parte prima-
di Antonio Vargiu
Nel prepararmi a scrivere questo articolo, commemorativo del 76°anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo, ho sentito l’insoddisfazione di rimanere ancorato ad una semplice celebrazione di un pur glorioso passato.
Andare oltre significava -e significa- cimentarsi con due temi attualmente presenti nella società italiana: i rigurgiti fascisti, che si alimentano della “caccia al diverso” (immigrati, gay ecc.), e un nascente ribellismo individualista, che tende a sottrarsi ad esigenze di solidarietà collettiva.
Ma partiamo da un dato positivo.
Ritorna un forte impegno delle istituzioni democratiche.
Oltre al sempre fermo e convinto intervento del capo dello Stato, Sergio Mattarella, non possiamo non sottolineare anche la visita del nuovo presidente del consiglio, Mario Draghi, al Museo storico della liberazione di via Tasso a Roma, luogo in cui italiani di tutte le convinzioni e orientamenti politici sono stati detenuti, torturati e uccisi dalle ss tedesche (molti furono uccisi alle Fosse ardeatine) per il solo fatto di volere un’Italia più giusta e democratica.
Per capire la distanza con precedenti governi –e non bisogna andare troppo indietro nel tempo- vogliamo solo “citare” quanto disse nella stessa occasione l’allora ministro dell’interno Salvini.
Una “vecchia” falsa neutralità
Qualche anno prima aveva già affermato “sono al fianco dei patrioti come Marine Le Pen, che combattono contro questa dittatura dell’Unione europea che usa la moneta al posto dei carri armati ma fa gli stessi morti (25 aprile del 2017). No al derby fascisti-comunisti. Io sono idealmente nelle piazze dove si parla di libertà e liberazione, ma io voglio portarla fino in fondo”.
Da ministro, che, come tutti i ministri leghisti, si era già ben guardato di essere presente ad una qualunque cerimonia rievocativa di questa festa nazionale, la sua sintesi fu la seguente: «Il 25 aprile ci saranno i cortei, i partigiani e i contro partigiani. Siamo nel 2019 e mi interessa poco il derby fascisti comunisti: mi interessa il futuro del nostro paese e liberare il nostro Paese dalla camorra e dalla Ndrangheta».
Naturalmente non si è mai capito quando avesse il tempo per dedicarsi a questa seria lotta, dal momento che tutto il suo tempo era dedicato a fare selfie in giro per l’Italia. Questo mentre lo stesso ministro non pensava minimamente di reprimere manifestazioni di aperta esaltazione della passata dittatura.
L’Italia dopo più di un anno di pandemia: lo slogan delle destre “riaprire subito” rischia di confondersi con chi -anche se da altre sponde- identifica però la libertà con la difesa ad oltranza del proprio individualismo.
E’ passato più di un anno: nella società serpeggia insofferenza e ribellismo rispetto alle disposizioni, ancora rigorose, funzionali alla lotta alla diffusione del covid.
In questo momento si mescolano e si rafforzano a vicenda sia esigenze economiche con basi reali (basti pensare a tutto il settore della ristorazione e alla sua capacità di occupazione sia regolare che “grigia”) che insofferenze alla limitazione della propria libertà.
Riteniamo che sia assolutamente necessario dare una risposta ragionata a questo malessere, anche se ci sembra abbastanza singolare che questa protesta “esploda” a pochi passi dalla meta finale: la “vaccinazione di massa”.
Alcune motivazioni dei “negazionisti sottovalutatori”.
Inizialmente la reazione di una parte di cittadini, anche “acculturata” –non pochi infatti hanno una istruzione medio-alta-, è stata quella di considerare esagerata la reazione del governo rispetto a quella che veniva considerata poco più di un’influenza.
Poi, arrivati i vaccini, parte una violenta opposizione (per fortuna solo a parole):ç viene prospettato il timore di conseguenze a lungo termine, vengono avanti accuse di autoritarismo e di favorire solo le grandi case farmaceutiche.
Riassumendo: polemiche sui numeri che dovrebbero scendere “naturalmente”, polemiche (questa volta giuste) sul fatto che i malati non vengono curati a casa (almeno quelli colpiti da sintomi più lievi) e sull’intasamento degli ospedali con conseguenze sulla cura dei malati normali;
si invoca soprattutto una libertà di scelta, che in realtà, nei casi di pandemia, non può essere tollerata se non entro certi limiti, pena il mettere a rischio tutta la collettività.
Le contraddizioni di questi atteggiamenti
La diffidenza verso la “scienza ufficiale” porta ad estrapolare le opinioni di scienziati solitari, esaltati come “portatori di verità”. Non ci si domanda sul perché siano in minoranza: la spiegazione è semplice, gli altri sono succubi degli interessi economici delle grandi case farmaceutiche.
Nello stesso tempo si è pronti a sottolineare la non predisposizione da parte del Ministero della Sanità di piani contro le pandemie: questa è chiaramente una negligenza, ma si trascura il fatto che, prima del febbraio 2020, nessuno credeva seriamente ad una possibilità del genere. La contraddizione sta anche nel fatto che questi piani contengono restrizioni e limitazioni alla libertà delle singole persone e sembra strano che se ne facciano paladini proprio gli insofferenti ad ogni restrizione.
La ripresa dell’atteggiamento “trumpiano/salviniano”: libertà di attività economica “senza se e senza ma”.
La sintesi di tutto questo può ben essere data da una ripresa, con verniciatura scientifica, della “dottrina Trump”. In breve, operare lockdown, mettere mascherine, limitare l’attività economica non serve a niente!
La dimostrazione? Secondo un recente studio presentato da un “esperto del settore” l’andamento della diffusione del virus, in questi mesi del 2021, in Texas e in Florida (stati trumpiani) sarebbe assolutamente uguale a quello della California (stato gestito da democratici e che ha imposto restrizioni).
Ma se proprio non vogliamo tenere in conto di quanto è successo negli Stati Uniti, un esempio ancora più grave e straziante della follia di un atteggiamento “menefreghista” delle autorità pubbliche è dato dal Brasile di Bolsonaro: è scandaloso che uno scienziato si rifiuti di vedere questa realtà. Per l’appunto la terra è un solo pianeta, questo vale sia per le condizioni climatiche che per le pandemie!