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In questo numero presentiamo la seconda parte dell’articolo del prof. Fabrizio Proietti sulle nuove “collaborazioni organizzate”, introdotte dallo jobs act e destinate a superare i “lavori a progetto”.

INQUADRAMENTO E PROFILI APPLICATIVI

DELLA NUOVA DISCIPLINA DELLE C.D. COLLABORAZIONI “ORGANIZZATE” (2^parte)

di Fabrizio Proietti

Professore Associato di Diritto sindacale, del lavoro e della sicurezza sociale

Università “Sapienza” di Roma – Avvocato dinanzi le Giurisdizioni Superiori

LA “DEROGA” DI FONTE COLLETTIVA “QUALIFICATA”

La “novella” (art. 2, comma 2, lett. a)) prevede che la disposizione di cui al comma 1 (il “si applica” di cui discutiamo oggi) … “non trova applicazione con riferimento” … “alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedano discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore”.

Si segnala che la formula adottata dal legislatore avrebbe ben potuto tenere in considerazione gli approdi – anche giurisprudenziali – del dibattito circa la c.d. maggiore rappresentatività comparativa “bilaterale” (intendendo con tale espressione l’ampiezza delle questioni sottese, attinenti “anche” … ai noti problemi di rappresentatività di compagini associative di matrice datoriale dotate in misura pressoché nulla di tale qualità sul piano effettivo). Quanto precede, al netto del dibattito tra gli operatori sindacali circa l’estensibilità o meno dell’Accordo Interconfederale siglato nel gennaio 2015 per il Settore industriale.

Va menzionata, al riguardo, una recente – e fondamentale, per la particolare attenzione e cura nell’istruttoria caratterizzata dalla ordinanza di verificazione affidata al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali in ordine all’accertamento del requisito della maggiore rappresentatività “comparativa su base nazionale” – decisione del Consiglio di Stato (Sez. III, sent. n. 4699/2015).

In tale decisione, il Supremo Giudice Amministrativo ha ritenuto di seguire un percorso “istituzionale”, incaricando la competente Direzione Ministeriale di effettuare le operazioni di verificazione, di indubbia rilevanza probatoria, secondo un paradigma facilmente imitabile (con il ricorso, “anche” … ex officio ai sensi dell’art. 421 c.p.c. genuinamente interpretato e serenamente applicato, al noto istituto processual-civilistico della richiesta di informazioni alla P.A., forse non apparendo opportuno il ricorso alle informazioni direttamente richieste alle organizzazioni sindacali stesse …).

Sul piano qualificatorio, siffatti accordi collettivi (lecitamente conclusi e stipulati dai soggetti di livello richiesto dalla formula normativa, nell’ambito di organizzazioni dotate dei requisiti di legge, da validarsi opportunamente in sede ministeriale) non pongono problemi di sorta; anzi, si può ritenere che essi, in realtà non debbano esser definiti con l’etichetta di “derogatorietà”.

Sembra che il legislatore lasci ampio spazio ai soggetti collettivi per l’individuazione “anche” … di soluzioni “a menu” (evocato dal richiamo a “discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo”) all’interno della subordinazione, ovvero al fine di operare una lecita – se correttamente esercitata – esplicazione di un’attività di ricognizione di confine che racchiude l’enorme vantaggio di poter individuare tempi e metodi di revisione periodica, in base all’esperienza della realtà concreta di settore, senza attendere i responsi faticosamente espressi dal legislatore.

Credo sinceramente positiva tale “apertura di credito” alle parti sociali, responsabilmente coinvolte in tale operazione di adeguamento delle regole alla mutevole realtà (per scongiurare, se ancora possibile, l’ennesimo film western del mercato del lavoro in Italia, già ampiamente giunto alle repliche di quinta visione).

Ritengo anche che tale scelta di “funzionalizzazione” dell’autonomia collettiva in tale ambito possa sottrarsi a future censure di legittimità costituzionale.

LA CERTIFICAZIONE

La nota (in via teorica, forse per l’interesse che l’istituto desta più per le sue incessanti rivisitazioni di “manutenzione normativa”) facoltà delle parti di rivolgersi ad una delle ormai numerose (anche in ambito accademico) Commissioni per la certificazione del contratto di lavoro che sono in procinto di stipulare (ovvero già in corso di esecuzione) assume, nella prospettiva della “novella” di cui discutiamo (art. 2, comma 3), una duplice funzione: è via autonoma “di fuga” dal precetto giuridico evocato dalla formula-monito “si applica”; costituisce strumento di supporto all’altra via “di fuga” (l’accordo collettivo di cui all’art. 2, comma 2, lett. a)). Ciò in quanto e ben facile prefigurare una “matrice” di fonte collettiva (l’accordo sindacale “derogatorio” “qualificato”) da cui si diramano singoli format negoziali di certificazione, in un processo circolare corroborante, sul piano dell’effettività.

Ovviamente la certificazione richiesta dovrà essere, per le ragioni esposte nella descrizione dell’”effetto giuridico integrale” della formula del precetto giuridico “si applica”, del tipo erga omnes.

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