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Care amiche, cari amici, abbiamo già parlato del grande poeta nicaraguense, Ernest Cardenal, e dei suoi “laboratori di poesia” che ha fatto sorgere in tanti luoghi popolari e in tante situazioni ambientali estremamente difficili.

L’obiettivo era quello di ridare a bambini, donne e uomini in momenti difficili della propria vita quella scintilla creativa, quella ricerca di bellezza e di solidarietà che è dentro tutti noi.

Ma il dubbio è che, finora, non siamo riusciti a spiegare concretamente in che cosa consista e come operi concretamente la forza di una poesia così concepita e così lontana da astrattezze e narcisismi.

Per entrare, però, nel vivo di questa esperienza credo che possiamo servirci di chi concretamente, almeno in parte, l’ha vissuta e raccontata come giornalista inviato in Nicaragua, che è andato a far visita all’ospedale per la cura di tumori infantili, La Mascota di Managua.

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I POETI FUORI STRADA – ERNESTO CARDENAL CON IL PROF.MASERA E MARCELLO CESA BIANCHI

Sono contento che questo servizio sia apparso, lo scorso anno, sulla rivista “Messaggero di S.Antonio”, la rivista cioè del mio santo protettore!

Qui di seguito ne potrete leggere –in due “puntate”- ampi stralci, veramente istruttivi e che fanno bene all’anima. L’autore di questo splendido servizio è Andrea Semplici (1)), che racconta di 30 anni di gemellaggio tra gli ospedali La Mascota a Managua e il San Gerardo di Monza.

Il gioco dei nomi in Nicaragua è stupefacente. In quel Paese ho conosciuto uomini e ragazzi che si chiamavano Nabuccodonosor, Adonis, EltonJohn e MikeTyson. E, alla fine, ho incontrato Lenin: 10 anni e un tumore cresciuto nella sua testa. La sua pelle è bruciata dalla radioterapia. Le ossa si sono dilatate per non spezzarsi, il cranio si è deformato. I suoi occhi sono lucciole diurne nella luce dell’ospedale La Mascota di Managua, il principale centro pediatrico del Nicaragua. I gesti di Lenin sono lenti, il suo sorriso è cenere. Ed è dolcissimo.

Le sue mani cercano l’aria, il suo corpo mi appare fluido, privo di consistenza. È seduto su una panchina gialla, stretto a sua madre nel piccolo giardino-parco giochi dell’ospedale. Per raggiungere Managua, hanno dovuto viaggiare quasi due giorni. Vengono dalla costa atlantica del Paese. Lenin ha la leucemia.

In Nicaragua il 40 per cento dei tumori infantili è provocato dal cancro del sangue. «È un’anomalia – spiega Fulgencio Baez, 66 anni, primario del reparto oncologico di La Mascota –; nei Paesi sviluppati (i tumori giovanili che colpiscono il sangue, ndr) sono il 28 per cento. Noi sospettiamo che questa sia la conseguenza dei pesticidi e degli antiparassitari usati senza scrupoli per decenni nelle piantagioni di cotone e di mais». Lenin si alza, cerca un equilibrio. Poi dondola sull’altalena con Roberta, la sua dottoressa. La madre, stanchissima, appoggia la schiena sulla panchina di cemento giallo. Questa è una storia di poesia e di sfida alla malattia.

In cerca di futuro

«Io non aspetto il giorno del giudizio finale con particolare ottimismo, ma prevedo che una delle poche cose positive che mi verrà detta sarà: “Io ero un bambino malato di cancro e tu mi hai insegnato a fare poesia”». Ernesto Cardenal, 90 anni, monaco e poeta, più volte ha varcato la porta dell’ospedale La Mascota per parlare di poesia con i piccoli colpiti dal tumore…  Trent’anni fa, complice una cena (al tavolo vi era il farmacologo italiano Gianni Tognoni e lo scrittore argentino Julio Cortázar), Fernando Silva, poeta, romanziere e pediatra, magro come un chiodo e dagli occhi come scintille, si fece convincere.

In quegli anni il Nicaragua cercava di rinascere, nonostante la controrivoluzione sanguinosa, armata dalla Cia nordamericana, e le eredità di vent’anni di guerra e mezzo secolo di dittatura. I bambini, allora, morivano di diarrea, di malattie respiratorie, di infezioni. C’era un’epidemia di dengue. Vi era da vaccinare una generazione di ragazzi che mai avevano visto un medico. Tutto era emergenza. E per i bambini che, troppo tardi, arrivavano a Managua con ossa e sangue devastati da un tumore non c’era scampo. Finivano nei reparti «normali» dell’ospedale e morivano per un’influenza.

I bambini della Mascota

                                                                                                            FOTO DI ANDREA SEMPLICI

In quella cena, Gianni Tognoni suggerì a Fernando Silva di scrivere a un pediatra di Monza, Giuseppe Masera, che allora dirigeva il reparto di pediatria dell’ospedale San Gerardo. Scrisse Fernando: «Quando a un bambino facciamo una diagnosi di leucemia o di cancro, poniamo accanto al suo nome una crocetta nera. È destinato a morte certa. Non abbiamo farmaci, specialisti, strutture per curare e offrire almeno una speranza di guarigione». Fernando era un poeta. E anche Giuseppe lo era. Entrambi lo sono ancora. Per loro, la morte di un bambino era ed è intollerabile.

Silva, Fulgencio, Tognoni e Masera (e una generazione di medici, famiglie, bambini, cooperanti) costruirono un’utopia. L’alleanza tra medici italiani e nicaraguensi, tra l’ospedale di Monza e quello di Managua, fu straordinaria. «Cominciammo a lavorare sulla formazione professionale, sugli uomini e le donne che dovevano lavorare nei nuovi reparti. Avevamo bisogno di farmaci. Dovevamo costruire infrastrutture e mettere a punto protocolli sanitari – ricorda Fulgencio –. Un lavoro immane nel quale lavorammo alla pari. Ogni passo doveva essere, per noi, auto-sostenibile». Nacque allora Mapanica, un’associazione di familiari dei bambini malati.

Negli anni delle politiche liberiste non c’erano più farmaci in Nicaragua. Gli italiani si davano da fare per far avere medicine là introvabili e costose. Il patto tra i due ospedali doveva durare cinque anni. Trent’anni dopo il filo rosso tra due Paesi così lontani è ben teso. È un’amicizia, una storia comune, un darsi la mano. «È accaduto che i laboratori tecnici dove si faceva ricerca e si formavano medici e infermieri hanno funzionato come i talleres de poesía (corsi di poesia, ndr)» spiega Gianni Tognoni. Credo che voglia dire che hanno reso realtà un sogno. Fulgencio mi dice due numeri: «Prima del 1990, soltanto dodici bambini vinsero la sfida della malattia. Oggi mille e settecento stanno vivendo il loro futuro». Al fianco dei piccoli pazienti ci sono otto ematologi a La Mascota. Dodici chirurghi. E infermieri ben formati.

«Pochi, ancora pochi – riflette Roberta Ortiz, pediatra ed ematologa –. Questi reparti sono complessi e un’infermiera deve star dietro a diciotto bambini. Sono troppi». È bene che si sappia che un medico così specializzato a Managua guadagna 300 dollari al mese. Un’infermiera 250 dollari. Il primario, Fulgencio, a un passo dalla pensione, ha uno stipendio di 500 dollari. Con 300 dollari al mese non si vive nella capitale del Nicaragua. Ma io ho visto tenacia, entusiasmo, forza, passione, sorrisi in questi uomini e donne. Li ho visti giocare con bambini e aiutare chi non ha speranza… In risposta ai lunghi viaggi che i bambini devono affrontare per raggiungere l’ospedale La Mascota, hanno costruito un hotelito (un piccolo ricovero) aperto alle famiglie. La medicina non è solo cura.

(1) Andrea Semplici, Poesia che cura, Messaggero di S.Antonio, 11 febbraio 2016.

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