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di Antonio Vargiu

Al di là del linguaggio necessariamente tecnico, in questo articolo affronteremo una questione di grande attualità (anche prima della grande “crisi da coronavirus”): come tutelare i lavoratori in momenti delicati come quelli in cui un’azienda in difficoltà attiva delle procedure concorsuali e, successivamente, dopo aver portato i “libri contabili” in tribunale, viene rilevata da un’altra azienda.

CRISI AZIENDALE: COME TUTELARE –ALMENO IN PARTE- I CREDITI DEI LAVORATORI.

 

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da scenarieconomici.it

E precisamente: è possibile garantire la completezza delle ultime tre retribuzioni e il Tfr maturato dai lavoratori presso l’azienda in difficoltà, ricorrendo, se necessario, all’apposito Fondo istituito presso l’Inps (1)?

Diciamo subito che i comportamenti sono stati, negli anni passati, i più diversi: come scrive l’avv. Luigi Andrea Cosattini (2), “è infatti piuttosto diffusa la prassi, pur in presenza di trasferimento d’azienda e di conseguente prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze del cessionario (l’azienda che acquista-ndr), di ammettere al passivo del fallimento del datore di lavoro cedente l’importo del TFR maturato alle dipendenze di esso, pur risultando il relativo credito non esigibile in considerazione della prosecuzione del rapporto di lavoro, e di consentire poi al dipendente di ottenere dal Fondo di Garanzia il pagamento del credito così come ammesso al passivo fallimentare”.

Questa pratica, però, non è stata così “pacifica”, se è vero come è vero, che l’Inps si è resa protagonista dell’opposizione a questa prassi, ricorrendo anche alla via giudiziaria.

Questo “cammino”, pur essendo lungo, ha portato –in tempi abbastanza recenti- a diverse importanti sentenze di Cassazione, concentrate tutte nel secondo semestre del 2018 (3).

In particolare la sentenza della Cassazione civile, sez.lavoro, N.23775 del 1°ottobre 2018, ci sembra molto chiara ed indicativa dell’orientamento dei giudici di legittimità.

 

OTTOBRE 2018: UNA IMPORTANTE SENTENZA DI CASSAZIONE.

E’ il momento, quindi, di passarne in rassegna i passaggi fondamentali.

I fatti

Come descritto dalla sentenza, “ la società La.Fer. Edil di F.E. & A. s.n.c., in data 28 giugno 2012, aveva ceduto l’azienda in affitto alla New Fer. Edil s.r.l.; con sentenza del 6 giugno 2013 il Tribunale di Brescia aveva dichiarato il fallimento dell’ex datore di lavoro, La.Fer. Edil di F.E. & A. s.n.c. e i lavoratori avevano depositato istanza di insinuazione al passivo del fallimento, avente ad oggetto la quota di TFR maturato alle dipendenze della società fallita e le ultime tre mensilità della retribuzione corrispondenti ai mesi di agosto, settembre, ottobre 2012 per prestazioni asseritamente svolte per la cedente; l’istanza era stata accolta e il credito dei lavoratori era stato ammesso allo stato passivo; l’Inps negava il pagamento delle somme ammesse al passivo fallimentare sul presupposto della continuazione dei rapporti di lavoro con il cessionario, unico obbligato a corrispondere le prestazioni richieste”.

L’iter giudiziario: la prima sentenza e l’appello.

In prima istanza il Tribunale di Brescia dà ragione all’Inps, basandosi sul fatto che i rapporti di lavoro erano continuati con la nuova azienda, dichiarata come unica obbligata a corrispondere quanto richiesto (principio di solidarietà rispetto ai crediti vantati dai lavoratori ex art.2112 cod.civ.).

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Si passa, quindi, al secondo grado di giudizio e la Corte d’appello di Brescia riforma la sentenza, dando ragione ai lavoratori riferendosi ad alcune sentenze di Cassazione del 2015 e sul loro “consolidato orientamento secondo cui l’INPS subentra ex lege nel debito del datore di lavoro insolvente, previo accertamento del credito del lavoratore e dei relativi accessori mediante insinuazione nello stato passivo divenuto definitivo e nella misura in cui risulta in quella sede accertato…”.

 

La ragione giustificatrice di questa interpretazione della norma è quella di garantire il soddisfacimento dei crediti insoddisfatti dei lavoratori senza costringerli ad “ulteriori e defatiganti accertamenti in altra sede”.

Ma l’Inps si oppone a questa sentenza e si giunge quindi in Cassazione.

La decisione della Corte di cassazione

Qui, invece, il giudizio è completamente rovesciato: i giudici di legittimità “riformano” la sentenza di appello e danno ragione all’Inps.

Sono tre i “passaggi logici” e i punti su cui sofferma la propria attenzione la sentenza:

  1. il momento in cui giunge a maturazione il credito del dipendente e le conseguenze che ciò comporta in merito all’ammissibilità del credito al passivo della procedura fallimentare;
  2. la natura giuridica dell’obbligazione di pagamento posta a carico del Fondo di Garanzia istituito presso l’Inps;
  3. la possibilità o meno in capo all’Inps di sindacare la sussistenza dell’obbligo di pagamento a carico del Fondo di Garanzia quando il credito del dipendente sia stato ammesso al passivo della procedura fallimentare.

Per quanto riguarda il primo punto la Cassazione ricorda quali sono i presupposti necessari per l’intervento del Fondo di garanzia:

  • la maturazione dell’obbligo del pagamento del t.f.r. fissato dall’art. 2120 c.c. in capo al datore di lavoro;
  • lo stato di insolvenza dello stesso;
  • la cessazione del rapporto di lavoro.

Per il  resto “il diritto del lavoratore di ottenere dall’Inps, in caso d’insolvenza del datore di lavoro, la corresponsione del TFR a carico dello speciale Fondo di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2, ha natura di diritto di credito ad una prestazione previdenziale, ed è, perciò, distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro (restando esclusa, pertanto, la fattispecie di obbligazione solidale), diritto che si perfeziona (non con la cessazione del rapporto di lavoro ma) al verificarsi dei presupposti previsti da detta legge (insolvenza del datore di lavoro, verifica dell’esistenza e misura del credito in sede di ammissione al passivo, ovvero all’esito di procedura esecutiva), con la conseguenza che, prima che si siano verificati tali presupposti, nessuna domanda di pagamento può essere rivolta all’Inps”.

Tutto questo, ovviamente, conferisce all’Inps anche la facoltà di opporsi all’ammissione al passivo fallimentare.

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Questo perché, di fatto,  l’intervento del Fondo  finirebbe “per riconnettersi a situazioni in cui il credito del lavoratore non è più relativo a un periodo “determinato” che connota lo scopo sociale dell’obbligo di copertura assicurativa, ma viene agganciato, senza limiti temporali e prescindendo dalla attuale individuazione dei soggetti del rapporto di lavoro, ad uno degli ex datori di lavoro, interessati dalle vicende pregresse, che viene dichiarato fallito in epoca in cui il rapporto di lavoro non è più in essere nei confronti del lavoratore istante perché proseguito con altro soggetto…”.,

Conseguentemente “la Corte accoglie i primi due motivi del ricorso principale, assorbito il terzo; dichiara assorbito il primo motivo ed inammissibile il secondo del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità”.

 

Oltre le motivazioni giuridiche: una considerazione.

Al di là degli argomenti giuridici che abbiamo prima esaminato, queste sentenze certamente hanno avuto anche una funzione: quella di essere un elemento deterrente per operazioni tipo: “creazione di una newco” per “alleggerire” i costi dell’azienda in difficoltà in termini di Tfr pregresso. Cosa importante in una realtà produttiva in cui “fioriscono” appalti e subappalti.

 

  • L’art. 2 della Legge 29 maggio 1982, n. 297 ha istituito presso l’INPS il “Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto” con lo scopo di intervenire nel pagamento del TFRin sostituzione del datore di lavoro in caso di insolvenza di quest’ultimo.
  • Luigi Andrea Cosattini , 17 Maggio 2019 in Marzo – Aprile 2019LAVORO E PREVIDENZA
  • Si tratta delle seguenti sentenze di Cassazione: Cass. civ. Sez. lavoro, 1° ottobre 2018, n. 23775, civ. Sez. lavoro, 26/09/2018, n. 23047 e Cass. civ. Sez. lavoro, 19/07/2018, n. 19277.

 

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