7- Verso l’Europa.
Prima di proseguire nella nostra “breve storia della concertazione”, ci sembra giusto tratteggiare –in estrema sintesi- l’andamento dell’economia italiana negli anni ’90 e nei primi anni del duemila, con riferimento ai cambiamenti istituzionali, politici ed economici destinati a cambiare profondamente sia l’Europa che il nostro paese.
Innanzitutto il Trattato di Maastricht sull’Unione Europea, che segna una nuova tappa con l’avvio di una maggiore integrazione economica, oltre che politica. Il trattato, firmato nella cittadina olandese il 7 febbraio 1992, è poi entrato in vigore il 1º novembre 1993. Particolare importanza viene ad assumere l’”Unione economica e monetaria”, che, oltre a comportare un maggior coordinamento delle politiche economiche, prevede la “nascita” di una moneta unica in tre fasi successive:
- la prima fase, che liberalizza la circolazione dei capitali, inizia il 1º luglio 1990;
- la seconda fase, che incomincia il 1º gennaio 1994, permette la convergenza delle politiche economiche degli Stati membri;
- la terza fase termina con la creazione di una moneta unica (1° gennaio 2002) e la costituzione di una Banca centrale europea (BCE).
In Italia, sempre negli anni ’90, cambia il sistema politico: lo scandalo di “Tangentopoli” e le iniziative della magistratura mettono in crisi i partiti tradizionali; viene modificato il sistema elettorale che passa dal proporzionale al maggioritario, con l’obiettivo di favorire, se non il bipartitismo come in altri paesi europei, sicuramente il bipolarismo degli schieramenti.
Dal ’93 l’Unione Europea abbatte i cosiddetti “vincoli tecnici” alla circolazione dei capitali e delle merci, con precise ripercussioni sul nostro sistema produttivo e su quello commerciale. A quest’ultimo proposito va sottolineato come, a partire dalla data citata, “calano” in Italia le multinazionali della grande distribuzione, soprattutto francesi e tedesche.
Nel 1992 viene varata in Italica una profonda riforma delle pensioni, destinata però ad entrare a regime con gradualità. Lo scopo era quello di mettere sotto controllo una spesa, che altrimenti avrebbe impedito, con i suoi costi crescenti, il raggiungimento degli obiettivi del Trattato e l’aggancio alla moneta unica. La legge delega viene approvata il 23 ottobre 1992, il decreto legislativo (delegato) viene varato il 30 dicembre 1992.
Senza passare in rassegna le nuove norme in maniera particolareggiata, possiamo dire che si basava sui seguenti principi, destinati comunque a ridurre i ritmi di crescita delle pensioni in pagamento:
- le pensioni vengono rivalutate al solo costo della vita (indice Istat di incremento dei prezzi per le famiglie di operai e impiegati) e non anche alla dinamica salariale; è questa la norma che nel tempo produrrà i maggiori risparmi di spesa;
- vengono soppressi alcuni scatti di rivalutazione delle pensioni al costo della vita;
- la rivalutazione delle pensioni è prevista con cadenza annuale e non più semestrale.
Vogliamo sottolineare che questo primo intervento sul sistema pensionistico in Italia opera “in forma equitativa” (checché ne dica, poi, la Fornero), perché distribuisce i sacrifici su tutte le generazioni, sia per i già pensionati che per i lavoratori attivi.
Per i lavoratori in servizio l’entrata a regime del nuovo meccanismo di calcolo avviene in modo scaglionato nel tempo e con le seguenti modalità:
- per i lavoratori con meno di 15 anni di contribuzione la pensione viene calcolata sull’intera vita lavorativa;
- il periodo di calcolo della retribuzione pensionabile media passa dagli ultimi 5 a 10 anni per i lavoratori dipendenti del settore privato e da 10 a 15 anni per gli autonomi;
- vengono introdotti blocchi temporanei per i trattamenti di anzianità (quelli con 35 anni di
contribuzione) per limitare la spesa corrente e il parziale divieto di cumulo tra redditi da
lavoro e pensione, data la bassa età di pensionamento in vigore;
- inizia il processo di equiparazione del sistema pensionistico dei dipendenti pubblici a quello, meno favorevole, dei privati;
- viene innalzata gradualmente l’età di pensionamento di vecchiaia di 5 anni, a regime, 65 anni per gli uomini e 60 per le donne rispetto ai 60 e 55 anni precedenti mentre il periodo minimo per fruire delle prestazioni pensionistiche passa da 15 a 20 anni.
8- La previdenza integrativa
Nel frattempo nasce la previdenza integrativa (1): per i lavoratori dipendenti saranno i contratti collettivi nazionali ad istituirne concretamente i fondi, Fonte per il terziario e Previcooper per la distribuzione cooperativa.
E’ questo il cosiddetto secondo pilastro della previdenza, necessario per integrare una pensione che sarà più leggera per le nuove generazioni di lavoratori.
9- Bipolarismo in azione: primo scontro governo sindacati
Come abbiamo visto, nel ’93 la politica italiana subisce una grande scossa: nascono nuovi soggetti politici in sostituzione dei vecchi partiti politici, investiti dalla “bufera Tangentopoli”, viene introdotto il sistema elettorale maggioritario.
Vince il centro destra di Berlusconi, che tenta di operare una nuova riforma delle pensioni immediatamente penalizzanti per tutti i lavoratori (2) e contro le opinioni di tutte e tre le organizzazioni sindacali.
Lo scontro inizia il 14 ottobre ’94, quando Cgil Cisl e Uil proclamano un primo sciopero generale, che ha successo, ma non ottiene il risultato di far cambiare sostanzialmente opinione al governo. Segue, quindi, una seconda azione di sciopero agli inizi di novembre e, infine, una terza che porta in piazza quasi un milione di persone. A questo punto il governo Berlusconi deve prendere atto anche della defezione “leghista” e rassegna le dimissioni.
Subentra un “governo tecnico” di transizione, il governo Dini, che contratterà con le organizzazioni sindacali una nuova e più graduale riforma delle pensioni (3).
Nel 1996 lo scenario politico cambia ancora: si delinea una maggioranza di centro sinistra guidata da Prodi e politiche sociali più favorevoli ai lavoratori e alle loro rappresentanze.
Torna, quindi, la “concertazione”: alla vigilia del Natale’96 viene sottoscritto il “patto per il lavoro” al fine di “favorire il governo attivo delle dinamiche dell’occupazione e di riassorbire la disoccupazione senza innestare spirali inflazionistiche”.
Al centro dell’accordo è il “mercato del lavoro”, che l’accordo mira a flessibilizzare, in maniera contrattata e con l’apporto delle parti sociali. Nel cosiddetto Pacchetto Treu (legge 196 del 1997), dal nome del ministro del lavoro pro tempore, c’è l’introduzione del lavoro interinale, una nuova disciplina del lavoro a termine e del part time, il rilancio dell’apprendistato, i contratti di riallineamento e i contratti di area.
http://www.uilm.it/archivio/Documenti/13°B0CONGRESSO/riforma_biagi.pdf
10- Dal “Patto di Natale”…
Il centro sinistra si complicherà, poi, la vita da solo e il governo Prodi non otterrà la fiducia in Parlamento per un solo voto (vedi Bertinotti!). Si arriva, quindi, al governo D’Alema e ad un nuovo accordo concertativo, firmato il 22 dicembre 1998: è il patto di Natale (inserire link).
Uno degli elementi più interessanti di questo accordo è il tentativo di istituzionalizzare queste procedure, prevedendo anche due livelli di concertazione, uno centrale e uno decentrato.
Ci sembra interessante l’analisi fattane da uno studioso di questa materia (4): “Si conferma l’assetto contrattuale dell’accordo del 23 luglio 1993 e si afferma, espressamente, il principio di sussidiarietà tra ordinamento statale e ordinamento intersindacale, in base al quale «le parti sociali saranno competenti a decidere nelle materie di loro stretta pertinenza, sempre che queste deliberazioni non comportino oneri a carico dello Stato, nel qual caso la scelta resta del governo… Si prevedono meccanismi di raccordo tra l’ordinamento comunitario e quello nazionale, tra la contrattazione collettiva nazionale e quella di livello decentrato e si rafforza il ruolo della concertazione territoriale prevedendo il coinvolgimento degli enti locali… Si distingue tra materie che importano impegni di spesa a carico del governo e materie che incidono sui rapporti tra imprese, lavoratori e loro rappresentanze e non comportano oneri per il bilancio dello Stato. E si affidano le prime alla concertazione preventiva con le parti sociali e le seconde ad una procedura, mutuata dall’esperienza comunitaria, in base alla quale le parti sociali possono chiedere, di comune intesa, al potere esecutivo di accordare loro un termine entro il quale tentare di disciplinare la materia per via negoziale”.
11- …al dialogo sociale e al “Patto per l’Italia”.
E’ lo scenario politico a condizionare pesantemente i rapporti con le forze sociali. Le elezioni del 13 maggio 2001 vedono la vittoria del centro destra, che vuole riaffermare il primato del potere politico e punta al superamento della concertazione.
Poco dopo il suo insediamento il Ministero del lavoro pubblica il “Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia (ottobre 2001)”. www.uil.it/politiche_lavoro/librobianco.pdf , nel quale si indica esplicitamente la volontà di superare il vecchio modello per dar vita al metodo del “dialogo sociale”, mutuato dall’esperienza europea, in base al quale, in caso di mancato accordo, il governo andrà comunque avanti nelle proprie decisioni, senza aspettare la convergenza di tutti i soggetti coinvolti.
In questo nuovo scenario avviene la spaccatura tra le organizzazioni sindacali confederali. Un primo episodio si verifica in occasione della trattativa sui contratti a termine, che vengono resi “più automatici”, sottraendoli in gran parte alla contrattazione. L’intesa con il governo viene firmata da Cisl e Uil, ma non dalla Cgil.
Ma lo strappo vero e proprio si verifica in occasione della definizione di un patto per la “riforma del mercato del lavoro”: la trattativa inizia con lo scontro sulla modifica dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori, contenuta nelle proposte governative, modifica sostenuta in modo particolare dalla Confindustria di D’Amato e dal Ministro del lavoro Maroni e respinta da tutte e tre le confederazioni.
Il governo accetta di stralciare la questione dal disegno di legge per far progredire il resto della trattativa.
Cisl e Uil “accettano di firmare un accordo con il quale danno via libera alla nuova flessibilità nel mercato del lavoro in cambio di sgravi fiscali per le famiglie e di incentivi per il Sud…l’ intesa si firma a palazzo Chigi nella tarda mattinata del 5 luglio 2002. Ma non è finita. Cofferati raccoglie 5 milioni di firme contro l’ accordo. Mentre un comitato promotore, sostenuto da Rifondazione comunista, Fiom, Verdi e parte dei Ds, lancia un referendum per ottenere esattamente il contrario di quello che vuole il governo. E cioè di estendere ai lavoratori delle piccole imprese l’ articolo 18. La partita si chiude il 15 giugno, con un fiasco clamoroso: va a votare il 25,7% degli elettori. I sì sono più di 10 milioni, ma non bastano (Enrico Marro, Sergio Rizzo 4 luglio 2003 – Corriere della Sera).
(1)
con l’emanazione del decreto legislativo (delegato) del 21 aprile 1993, n. 124, intitolato: Disciplina delle forme pensionistiche complementari, a norma dell’articolo 3, comma 1, lettera v), della legge 23 ottobre 1992, n. 421.
Fonte nasce con l’accordo collettivo nazionale del 29 novembre 1996, sottoscritto da Confcommercio e Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs. Previcooper nasce con l’accordo del 31 marzo 1998, sottoscritto tra tutte le centrali della distribuzione cooperativa e Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs.
(2)
Da subito si faceva salire l’età pensionabile a 65 anni. In alternativa, bisognava avere almeno 40 anni di contributi previdenziali. Inoltre, “la ciliegina” ogni anno non avrebbe pesato il 2% di rendita pensionistica (calcolato sulla media delle retribuzioni degli ultimi 10 anni lavorativi), ma l’1,5%.
(3)
La legge di riforma delle pensioni 335 del 1995, più conosciuta con il nome di riforma Dini, ha profondamente cambiato l’intero sistema pensionistico italiano, in particolare quello pubblico, insieme con la legge 449 del 1997 e la 243 del 2004 (la riforma Maroni). La legge Dini ha infatti introdotto il sistema di calcolo contributivo delle prestazioni pensionistiche, che sta sostituendo con gradualità quello retributivo.
L’attuazione della riforma avviene in fasi differenti e coinvolge i lavoratori secondo gli anni di servizio.
I lavoratori neoassunti al primo gennaio 1996 e quelli che optano per il nuovo sistema sono soggetti all’applicazione integrale delle nuove regole di accesso e del metodo di calcolo contributivo. In questo sistema è prevista soltanto la pensione di vecchiaia.
I lavoratori con meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 sono soggetti al calcolo della pensione con il cosiddetto calcolo misto (retributivo per la parte di pensione relativa alle anzianità maturate prima del 1996, contributivo per quelle maturate successivamente) e accedono alle prestazioni secondo le regole del sistema retributivo (a meno che non optino il contributivo integrale). Per loro è prevista sia la pensione di anzianità sia quella di vecchiaia.
Le lavoratrici possono accedere anche alla pensione di anzianità a partire dal primo gennaio 2008 con 35 anni di contributi e 57 anni di età a condizione che optino per una liquidazione del relativo trattamento secondo le regole di calcolo del sistema contributivo (legge243 del 23 agosto 2004).
I lavoratori con più di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 sono soggetti all’accesso e al calcolo della pensione secondo le regole del vecchio sistema retributivo. A loro spettano i trattamenti pensionistici di anzianità e di vecchiaia.
(4) La concertazione nell’esperienza italiana di Michel Martone,
http://eprints.luiss.it/1167/1/La_concertazione_nell%27esperienza_italiana.pdf