Siamo a Milano, siamo in una filiale di un’azienda che opera nel settore della ristorazione. Vengono assunte lavoratrici a tempo determinato, che hanno il compito di fungere da “hostess di accoglienza”, le cui mansioni consistono appunto nell’accogliere il cliente ed illustrare l’offerta di ristorazione.
Tutte le lavoratrici assunte a tempo determinato sono seguite, a livello centrale da un team composto da 5 uomini e una donna, mentre poi ci sono dei tutor che hanno il compito di seguire e favorire l’inserimento delle neo assunte e di valutarne poi le capacità ai fini della trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
E qui avviene il “fattaccio”: il tutor, invece di valutare la professionalità delle ragazze si abbandona a commenti sul loro aspetto fisico. In particolare prende di mira una lavoratrice che, per comodità, chiameremo Silvia. Quello che le viene rimproverato è di portare “gonne troppo lunghe” e di “non essere carina con lui”.
Da qui una serie di iniziative vessatorie, consistenti in continui spostamenti di reparto e in mansioni sempre più pesanti. Inoltre a tutte le ragazze del punto vendita questo individuo fa capire apertamente che il consolidamento del loro rapporto di lavoro dipende dall’essere più o meno “carine” con lui.
Il culmine di tutta la vicenda si ha quando le “attenzioni” di questo tutor passano dal piano verbale a quello fisico: Silvia è oggetto di molestie verbali e fisiche. La lavoratrice non regge a questa vera e propria violenza, alla quale assiste anche una rappresentante sindacale della Uiltucs, ha un crollo fisico e deve essere portata al pronto soccorso.
Tornata al lavoro, vedrà passare gli ultimi giorni prima della scadenza del contratto senza che nessuno le dica più nulla.
A questo punto Silvia –non confermata- decide di reagire e di fare causa all’azienda, che in tutta questa vicenda si era guardata bene dall’intervenire, nonostante la denuncia di questi fatti operata sia dalla Uiltucs che dalla Consigliera di parità.
Silvia si fa assistere dalla Uiltucs, in particolare dalla nostra funzionaria di zona, Daniela Butera, che l’aveva seguita in tutta la vicenda.
Con l’appoggio del nostro Ufficio Vertenze legali, inizia così un iter giudiziario, non lunghissimo, almeno secondo i tempi ai quali ci ha abituato la giustizia italiana, ma che ha visto ben due anni di dibattimento, nel quale il giudice ha voluto ascoltare tutte le testimonianze.
Come è finita
Alla fine l’azienda è stata condannata per la sua condotta pesantemente omissiva.
Silvia ha scelto di optare per il risarcimento danno in alternativa al reintegro. Mancava, infatti, oramai qualsiasi requisito di fiducia nei confronti di un’azienda rimasta sorda e indifferente.
La sorte del tutor? E’stato licenziato subito dopo la sentenza.
Insieme a Silvia, un’altra lavoratrice, sempre per il medesimo motivo, ha deciso di far causa e l’ha vinta, sempre assistita dalla UILTuCS. Anche lei opta per il “risarcimento danno” in alternativa al reintegro.
Questa volta parliamo di una donna con un figlio piccolo, vittima di violenza da parte del marito, da cui si è separata. Il Tribunale dei minori ha deciso l’allontanamento del padre dal nucleo famigliare, affidando il figlio alle cure della madre.
Di questa donna non diciamo neppure un nome di fantasia: vive infatti un una casa protetta, deve essere come un “fantasma”, senza nomi sul portone di casa, men che mai su elenchi telefonici, attenta anche quando va in visita dai famigliari per non essere trovata da chi le ha fatto violenza e minaccia di continuare a farla.
Tutta questa situazione è –come appare evidente- estremamente problematica, soprattutto perché la madre ha necessità di portare un reddito a casa per sé e per suo figlio e deve, quindi, lavorare.
Qui va elogiato il grande sforzo e la capacità di sostegno alla lavoratrice dimostrato dalla nostra funzionaria di Milano, Adele Sacco.
E’ stato fondamentale, infatti, mantenere sempre aperto un canale di comunicazione e di confronto con l’azienda, in quanto bisognava andare incontro ad esigenze particolari. Ad esempio, evitare turni serali o che finissero in ore “buie”, far conciliare il lavoro con la cura del figlio piccolo, tutto questo in rapporto con i servizi sociali che hanno il compito di sostenere e proteggere le donne vittime di violenza. Ovviamente questo impegno non termina mai: c’è sì un lieto fine, ma la storia rimane brutta e complicata.
Alla fine della mattinata Ivana Veronese può sottolineare con soddisfazione che l’organizzazione è presente “in prima linea”, cioè sui luoghi di lavoro, ed è lì che può intervenire, con le proprie competenze, con impegno e con passione, per sostenere la causa delle lavoratrici e dei lavoratori, a partire da coloro che sono maggiormente in difficoltà.
Nei casi presentati sono le donne ad aver ricevuto un sostegno ed un’assistenza sia sindacale, nel confronto con le aziende, sia legale, quando necessario, per far rispettare i diritti fondamentali delle lavoratrici e dei lavoratori.