Che sia chiaro un concetto: qui non si tratta di discussioni teoriche o di concetti astratti, ma piuttosto di iniziative e di azioni concrete, con l’utilizzo di tutti gli strumenti che il sindacato ha a sua disposizione.
Questa impostazione è stata chiarita con estrema decisione da Ivana Veronese, segretaria nazionale della Uiltucs, all’inizio della sessione della Conferenza di organizzazione a lei affidata.
Perché le donne “sono persone che si caricano maggiormente sulle spalle il carico di lavoro della casa, dei figli e degli anziani e, nonostante questo, devono anche lottare giornalmente per far rispettare quei diritti che, in un paese civile, non dovrebbero essere calpestati”.
Il “tema” è stato, quindi, svolto con l’analisi di alcuni casi concreti che ha visto la nostra organizzazione come protagonista nella difesa di diritti calpestati.
In questo articolo affronteremo i primi due casi.
Il congedo parentale: diritto di legge, ma non sempre rispettato.
Sono casi di vita e di lavoro veramente vissuti e con spiccate caratteristiche di drammaticità quelli raccontati da Ivana Veronese in collaborazione con le nostre strutture territoriali coinvolte ed impegnate nell’affrontarli e risolverli.
In questo episodio di concreta vita lavorativa parleremo del diritto –inizialmente negato-delle lavoratrici non solo di usufruire dei congedi parentali (ex maternità facoltativa), ma anche di scegliere il periodo di fruizione.
Naturalmente, ancora una volta, troviamo un responsabile di punto vendita che si atteggia a “padre-padrone” e si permette di mettere in discussione il rapporto vita/lavoro delle addette vendita.
I “casi” sono stati illustrati in forma di dialogo tra Ivana Veronese e i responsabili territoriali della Uiltucs coinvolti.
“Di che azienda parliamo e come si è comportata?”
E’ Piercarlo Borgo, segretario della Uiltucs di Imperia, a rispondere: “Si tratta di una grande catena, Coin, del Gruppo Coin Ovs Upim, con cui ci sono rapporti sindacali e con cui sono stati sottoscritti anche accordi integrativi.
Quattro lavoratrici della filiale di Sanremo avevano fatto richiesta di questi permessi ed indicato il periodo di fruizione nel mese di dicembre, in particolare vicino al periodo natalizio. Certamente il periodo è delicato, ma il preavviso consente all’azienda di farvi fronte tranquillamente.
Invece il direttore decide di negare ad alcune di loro questi permessi, cui avevano diritto.
Da queste lavoratrici parte allora una richiesta al nostro sindacato di intervenire a tutela. Lo abbiamo fatto immediatamente insieme a Filcams e Fisascat (anche loro avevano iscritte coinvolte nel problema). Con una lettera abbiamo diffidato il direttore circa il continuare in questo atteggiamento palesemente contra legem, portando contemporaneamente a conoscenza del caso sia l’Inps che la Direzione Territoriale del Lavoro.
Conclusione della vicenda: la vittoria non è stata completa in quanto non tutte le lavoratrici hanno retto alla pressione psicologica operata dal direttore ed hanno, quindi, accettato di spostare il godimento di questi permessi.
“Chi ha “tenuto duro”, ci ha visto comunque al suo fianco!” ha concluso Ivana Veronese, perché alcuni diritti sono scritti addirittura nella Carta Costituzionale, altri nelle leggi ordinarie, altri ancora nei contratti nazionali ed aziendali.
Dobbiamo sempre ricordare che uno dei motivi per cui le lavoratrici e i lavoratori si iscrivono al nostro sindacato è “l’inflessibilità nel pretendere il rispetto dei diritti e nel batterci per essi”!
Anche qui non parliamo di teorie, ma, purtroppo, di una realtà molto concreta.
Siamo sempre nella grande distribuzione, siamo a Milano e ce ne parla Fulvia Manzini della segreteria della Uiltucs Lombardia.
Questi i fatti: in una filiale 9 lavoratrici, iscritte alla Uiltucs, chiedono di aprire una vertenza per trasformare il loro rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno. In alternativa andrebbe pure bene consolidare le ore di lavoro supplementare, utilizzate dall’azienda in maniera strutturale.
La vertenza ha vissuto due fasi: quella “tradizionale”, consistente nel chiedere il “consolidamento delle ore supplementari strutturali”, appoggiandosi anche a norme del contratto integrativo vigente. Questo tentativo è andato, però, a vuoto per l’indisponibilità dell’azienda a discuterne.
Si è aperta, allora, una seconda fase: quella di una vertenza legale, visto che le lavoratrici hanno un danno soggettivo dal non allungamento del proprio orario di lavoro, in termini non solo di stipendio, ma anche di contributi previdenziali.
Ma, incalza Ivana, su quali basi giuridiche abbiamo dato vita a questa azione legale?
Fulvia risponde ringraziando per la preziosa collaborazione l’avv.Carmen Schettini. Insieme hanno impostato la vertenza denunciando una discriminazione di genere sul lavoro.
Difatti su 51 addetti al punto vendita 14 erano uomini, tutti a pieno tempo, mentre le donne, che erano 37, avevano ben 34 occupate a tempo parziale!
Insomma si era realizzato nel tempo, per così dire, un duplice e separato canale di assunzione: tempo pieno per gli uomini, tempo parziale per le donne.
Quindi –chiosa Ivana Veronese- oltre ai danni di cui abbiamo prima parlato si viene ad aggiungere il fatto che, in pratica, solo gli uomini possono fare carriera nell’azienda. Come è finita, quindi, la vertenza?
Con grande soddisfazione Fulvia Manzini può spiegare a tutti i delegati della Conferenza che i giudici –in due gradi di giudizio– hanno dichiarato discriminatorio a) il rifiuto dell’azienda a passare le lavoratrici a tempo pieno; b) l’impedire, conseguentemente, la loro progressione di carriera. In tutti e due i casi sono stati violati i principi di non discriminazione.
L’azienda è stata quindi condannata al pagamento del risarcimento del danno, patrimoniale e non. Questo risarcimento si è tradotto nel pagamento da parte dell’azienda della differenza di retribuzione tra tempo parziale e tempo pieno, con una somma equitativa per ogni anno di lavoro.
Da sottolineare che il giudice nella seconda sentenza ha richiamato il “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna” del 2006, diverse Direttive europee e gli artt. 36 e 37 della Costituzione, che parlano di lavoro dignitoso e di parità di diritti sul lavoro tra uomini e donne.
Fulvia sottolinea inoltre l’importanza della presenza sindacale per la gestione del dopo sentenza e della nuova organizzazione del lavoro in filiale.
Con soddisfazione quindi Ivana Veronese può sottolineare che questo grande risultato è stato reso possibile dall’impegno e dalla pazienza della nostra struttura sindacale territoriale, che non si è fermata ai primi ostacoli ma è riuscita a coinvolgere le lavoratrici anche nella difficile vertenza legale.
Morale della favola: un importante caso risolto in maniera positiva e che sicuramente farà scuola!