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di Antonio Vargiu

Innanzitutto alcune premesse:

  1. Noi siamo tra quelli che considerano le aziende un bene comune della collettività e non, semplicemente, un mezzo per fare sempre più profitti e, magari, portare i capitali in banche estere (questo vizio imprenditoriale non sarà più “di moda”?, purtroppo ne dubitiamo).Per questa nostra impostazione siamo sempre stati contrari a linee sindacali che abbiano come solo orizzonte quello dello scontro e della lotta e quasi mai quello della composizione degli interessi e, quindi, degli accordi.

  1. Il dibattito di oggi giustifica ancora di più la nostra scelta di pubblicare in questo sito una breve storia della concertazione, che ha visto protagoniste le forze sociali e, in particolare, le organizzazioni sindacali, naturalmente con approcci e forza di proposta diversi (giustamente riteniamo, come Uil, di aver svolto un ruolo importante in questa storia).

  1. Bisogna, cioè, avere buona memoria delle esperienze passate proprio nel momento in cui si stanno imboccando strade nuove e appaiono nuovi problemi per il sindacato.

  1. Come abbiamo scritto, non solo la concertazione è finita, ma siamo di fronte a scenari, in cui il mondo politico ed istituzionale, non solo è “autonomo” dal sociale e dalle organizzazioni che lo rappresentano, in primo luogo i sindacati, ma oramai ostenta e si fa vanto di “non perdere tempo” ad ascoltarne le richieste. Questo è il “film” e lo scenario, assolutamente inedito per il nostro paese, che abbiamo visto e stiamo vedendo da Monti a Renzi.

  1. Le conseguenze sono che la crisi, che stiamo ancora vivendo anche se si stanno delineando delle condizioni a livello internazionale per il suo superamento, ha ampliato le disuguaglianze tra classi sociali, aumentando il numero dei poveri e degli emarginati (tanto c’è papa Francesco!).

  1. In più il governo Renzi, con alcune norme inserite nel job act, ha drasticamente abbassato la soglia di tutela dei lavoratori dai licenziamenti illegittimi.

Se a questo aggiungiamo ulteriori provvedimenti, che con i tagli alla spesa pubblica stanno abbassando le soglie del welfare come abbiamo conosciuto fino ad oggi in Italia, abbiamo un quadro piuttosto preoccupante cui le organizzazioni sindacali devono rapidamente far fronte.

Dopo queste premesse ed entrando nel vivo della questione “coalizione sociale”, deve essere chiaro che, al di là dei discorsi sull’autonomia recitati alcune volte come un mantra, le organizzazioni sindacali hanno bisogno di un rapporto con il mondo istituzionale e politico, in quanto sono portatori di interessi, quelli dei lavoratori, che vanno sostenuti anche con norme legislative. Basti pensare al tema degli ammortizzatori sociali, di cui oggi non c’è “copertura universale” e della cui mancanza ne soffre in particolare il terziario.

A questo punto la “coalizione sociale” di Landini vuole “scendere in campo”, cioè avventurarsi in politica, direttamente o indirettamente.

Potrebbe cioè dar vita ad un partito vero e proprio oppure appoggiarsi ad altri già presenti sullo scena politica, che daranno vita ad un nuovo partito.

Ma come non pensare al grande dislivello tra un movimento sindacale dei lavoratori, che tra l’altro è chiamato a mettere a punto una strategia unitaria, oggi inesistente, e a formulare proposte che coinvolgano l’opinione pubblica e la maggioranza dei partiti ( non solo quelli “di sinistra”) e il rinchiudere queste proposte in un partito, piccolo o meno piccolo che sia.

Il risultato inevitabile sarà che queste proposte costituiranno al massimo una testimonianza e non avranno mai un consenso maggioritario.

Certo il cammino per i sindacati è impervio, proprio per quello che dicevamo prima: siamo giunti ad un grado mai visto di non comunicazione tra interessi dei lavoratori e partiti politici.

Certo il movimento sindacale non può non essere vicino ad altri movimenti ed associazioni che agiscono nel “sociale”, volontariato, organizzazioni che lottano contro le mafie ecc.

Ma “entrare in politica” ci sembra, più che una scorciatoia, l’imboccare un sentiero che porta diritti al baratro, oltre che ad una definitiva rottura interna tra organizzazioni sindacali confederali.

Non a caso le prime dichiarazioni fatte da esponenti del governo Renzi ci sembrano, perlopiù, un tirare un sospiro di sollievo nei confronti di chi sembra prossimo a costruirsi l’ennesimo piccolo recinto. O forse siamo alle “riserve indiane”, da cui una volta metteva in guardia Trentin.

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