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 Il nuovo sistema elettorale è proporzionale, ma i partiti giocano ai “candidati premier”!

di Antonio Vargiu

Fine della “politica d’azzardo”?

E’ inevitabile una premessa. Non potevamo terminare la serie di articoli dedicati ai sistemi elettorali senza un’analisi specifica di quello nuovo, adottato dallo scorso Parlamento e che è stato utilizzato per le elezioni politiche del 5 marzo, il cosiddetto “Rosatellum”.

Rendendoci conto della complessità dell’argomento e per renderne più agevole la comprensione, abbiamo scelto di dividerlo in due articoli, il secondo dei quali farà ancor di più riferimento all’attualità politica e a riflessioni sul dopo-voto, cioè sulla prima sperimentazione concreta del nuovo sistema elettorale.

Due esigenze: esprimere una maggioranza e rappresentare le varie opinioni politiche.

A che serve un sistema elettorale? La risposta sembra ovvia, ma non è così banale: un sistema elettorale serve ad organizzare e rendere utile –attraverso meccanismi anche molto diversi tra loro- il “voto del popolo”.

Un paradosso per spiegare il rapporto tra il voto e la sua utilità.

In un sistema puramente maggioritario –esiste ed è quello inglese- chi “arriva primo” in un collegio è eletto deputato, il voto di chi ha votato per altri candidati non conta assolutamente nulla!

Viceversa, in un sistema proporzionale, tutti i voti contano, anche se indirizzati verso piccoli partiti (a meno che non siano previste soglie di sbarramento, più o meno elevate). Sono quindi “utili” tutti i voti che vanno ai partiti che superano la soglia minima, “inutili” tutti gli altri.

In Italia abbiamo cercato di contemperare – diciamo negli ultimi trenta anni- due esigenze:

  1. quella di rappresentare le diverse opinioni e tendenze politiche;

  2. quella di tentare di garantire un minimo di governabilità.

Vediamo gli ultimi sviluppi di questa tendenza con un’analisi degli ultimi sistemi elettorali.

Dall’ “Italicum”…

Come abbiamo visto nei precedenti articoli, Renzi aveva fatto approvare il cosiddetto “Italicum”( legge 6 maggio 2015, n. 52 ), che si basava su un presupposto: votando sì al referendum costituzionale, gli italiani avrebbero optato per l’elezione di una sola Camera con pieni poteri.

La versione finale approvata dal Parlamento (ma poi modificata dalla Corte costituzionale nel 2017) prevedeva:

  1. un sistema proporzionale per l’attribuzione dei seggi;

  2. un premio di maggioranza per raggiungere il numero di 340 seggi (il 55% dei seggi, escludendo le sezioni “estero”) alla lista (non più alla coalizione) in grado di raggiungere il 40% dei voti al primo turno;

  3. un secondo turno tra i primi due partiti più votati nel caso nessuno avesse raggiunto il 40%;

  4. una soglia di sbarramento unica al 3% su base nazionale per tutti i partiti (non erano ammesse le coalizioni).

Un “meccanismo perfetto” che aveva fatto entusiasmare il proponente, che, a proposito dell’esito delle elezioni spagnole, così aveva commentato:” È la Spagna di oggi, ma sembra l’Italia di ieri. Di ieri perchè ora abbiamo cancellato ogni balletto post-elettorale. Sia benedetto l’Italicum, davvero: ci sarà un vincitore chiaro. E una maggioranza in grado di governare. Stabilità, buon senso, certezze. Punto“(Matteo Renzi, Corriere on line 21 dicembre 2015)”.

Ma la cosa non ha funzionato, intanto perché, con il voto al referendum, gli italiani hanno scelto di non abolire il sistema bicamerale “perfetto” (con Camera e Senato, cioè, che hanno ambedue il potere di dare la fiducia o la sfiducia a un governo).

Ma decisivo è stato, poi, l’intervento della Corte Costituzionale che ha sancito l’incostituzionalità del meccanismo del ballottaggio.

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I giudici contestavano il meccanismo del ballottaggio sotto tre profili:

  1. al ballottaggio, «una lista può accedervi anche avendo conseguito, al primo turno, un consenso esiguo e ciononostante ottenere il premio, vedendo più che raddoppiati i seggi che avrebbe conseguito sulla base dei voti ottenuti al primo turno»;

  2. il ballottaggio porterebbe, quindi, al non rispetto dei principi di uguaglianza e libertà del voto, a una «sproporzionata divaricazione» tra la composizione della Camera «e la volontà dei cittadini espressa con il voto, principale strumento di manifestazione della sovranità popolare»;

  3. «il legittimo perseguimento dell’obbiettivo della stabilità di governo, di sicuro interesse costituzionale, (…) non può giustificare uno sproporzionato sacrificio dei principi costituzionali di rappresentatività e di uguaglianza del voto, trasformando artificialmente una lista che vanta un consenso limitato, ed in ipotesi anche esiguo, in maggioranza assoluta».

L’Italicum conteneva anche altri elementi –almeno parziali- di incostituzionalità (tipo la candidatura di una stessa persona in una pluralità di collegi, salvata dalla sentenza, ma con l’obbligo del sorteggio al posto della libera scelta in caso di “elezione multipla”), ma le motivazioni principali per la dichiarazione di incostituzionalità son quelle sopra ricordate.

Abbiamo voluto riportare con cura questi principi affermati dalla Corte Costituzionale per la loro valenza anche per le leggi elettorali a seguire.

al “Rosatellum”!

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Chiariamo subito che non stiamo parlando di un vino né di un nobile vitigno, ma del sistema elettorale, varato con la legge del 3 novembre 2017, n.165.

La maggioranza favorevole alla legge è stata molto ampia, avendo votato contro solo il movimento 5 Stelle, articolo 1-mdp e sinistra Italia-possibile. I 5 stelle hanno votato contro per la possibilità insita nel sistema di trarre vantaggio da apparentamenti tra forze politiche (notoriamente 5 stelle – chiuso nella propria “purezza”- ha sempre rifiutato alleanze).

Il “Rosatellum” è un sistema prevalentemente proporzionale. Infatti il 64% dei seggi viene assegnato in collegi plurinominali con metodo proporzionale e il restante 36% dei seggi in collegi uninominali con metodo maggioritario. Esiste anche una soglia di sbarramento per i singoli partiti, fissata al 3%.


La governabilità

Una cosa doveva essere da subito evidente: in un sistema prevalentemente proporzionale se un partito (o una coalizione) non ottiene la maggioranza dei seggi non può governare da solo.

Il Rosatellum non prevede, infatti, alcun premio di maggioranza. Di conseguenza, non sono previste delle soglie minime necessarie per garantirsi la maggioranza in Parlamento.

Ma molti hanno continuato a parlare di una soglia del 40%. Perché? Semplice: perché potrebbe essere in effetti la percentuale minima da raggiungere per ottenere –nei fatti- la maggioranza parlamentare. Il Rosatellum è in grande parte (due terzi), come detto, proporzionale, ma ci sono due meccanismi che potrebbero correggerne la proporzionalità.

In primo luogo la soglia di sbarramento del 3%. Non è una soglia molto alta, ma certo esclude dal riparto dei seggi alcuni partiti e quindi le liste che superano la soglia godranno di qualche seggio in più.

Ma soprattutto il maggior fattore di correzione della proporzionalità risiede nel secondo meccanismo, ossia la quota di seggi che saranno assegnati in collegi uninominali maggioritari a turno unico, che potrà garantire ai partiti un numero maggiore di seggi, tanto da incrementare quelli ottenuti in base alla percentuale ottenuta nel proporzionale e sperare perciò di arrivare oltre il 50%.

Ma, come abbiamo tutti potuto vedere dopo il 5 marzo, nessuna di queste possibilità si è concretamente realizzata.

La complessità della situazione politica italiana

A rendere ancora più complessa la situazione è l’evidente presenza di tre schieramenti politici, anche se due in ascesa e uno in forte declino.

In sostanza la rappresentanza delle forze politiche è rispettata, ma la governabilità è certamente resa più difficile non per “motivi tecnici” ma per motivi puramente politici.

1 -continua

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