Dagli 80 euro del governo Renzi e dal reddito di inclusione (Rei) al “reddito di cittadinanza”: continuità o strappo?
seconda parte
di Antonio Vargiu
IL “REI” (Reddito di inclusione)
Che cos’è e come funziona
Abbiamo visto nella prima parte come il “bonus fiscale” sia un provvedimento di sostegno per i lavoratori appartenenti alle fasce medio-basse di reddito.
Il REI è, invece, un provvedimento mirato alla lotta alla povertà.
I beneficiari
In questo caso ad essere assistiti non sono i singoli individui, ma quei nuclei famigliari che risultano al di sotto della stima di povertà assoluta.
I requisiti per accedervi sono economici ma anche di cittadinanza e di residenza.
Requisiti economici
Possono accedere al REI famiglie con:
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valore ISEE (1) non superiore a 6.000 €;
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indicatore ISRE (2) non superiore a 3.000 €;
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patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, non superiore a 20.000 €;
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patrimonio mobiliare non superiore a 10.000 € (la soglia si riduce a 6.000 € per i nuclei familiari composti da una sola persona, e 8.000 € per i nuclei composti da due persone).
Inoltre, per accedere al ReI è necessario che ciascun componente il nucleo familiare:
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non possieda autoveicoli e /o motoveicoli immatricolati la prima volta nei 24 mesi antecedenti la richiesta (sono esclusi gli autoveicoli/ motoveicoli per cui è prevista una agevolazione fiscale in favore delle persone con disabilità);
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non percepisca già prestazioni di assicurazione sociale per l’impiego (NASpI) o altri ammortizzatori sociali di sostegno al reddito in caso di disoccupazione involontaria;
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non possieda imbarcazioni da diporto (sic!).
Requisiti di cittadinanza e di residenza
E’ necessario che chi chiede di accedere al Rei sia residente in Italia da almeno 2 anni e può essere:
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cittadino italiano o comunitario;
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familiare di cittadini italiani o comunitari titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente;
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cittadino straniero in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
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titolare di protezione internazionale (asilo politico, protezione sussidiaria).
I numeri e i costi
Attualmente (2018) sono assistite circa 660mila famiglie, ovvero 1,8 milioni di persone, con un costo di circa due miliardi l’anno.
CHE COS’E’ LA “POVERTA’ASSOLUTA”. |
L’Istat definisce linea di povertà assoluta: il “valore monetario di un paniere di beni e servizi indispensabili affinché una famiglia di data ampiezza possa raggiungere un livello di vita socialmente accettabile nel Paese”. Viene calcolato per ciascuna ampiezza familiare aggregando le componenti alimentare, per l’abitazione e residuale” (Fonte: Istat, La povertà in Italia nel 2002, luglio 2003). |
Un esempio in cifre – anno 2017 – disponibilità monetaria per spesa mensile. Famiglia con tre componenti, residente in città con oltre 250 mila abitanti: * Nord Italia: soglia di povertà assoluta nel 2017: euro 1.407,62* Centro Italia: soglia di povertà assoluta nel 2017: euro 1.329,55* Sud Italia: soglia di povertà assoluta nel 2017: euro 1.102,19 |
I NUMERI DELLA “POVERTA’ASSOLUTA”. |
Nel 2017 si stimano in povertà assoluta 1 milione e 778 mila famiglie residenti in cui vivono 5 milioni e 58 mila individui; rispetto al 2016 la povertà assoluta cresce in termini sia di famiglie sia di individui. Nel 2017 l’incidenza della povertà assoluta fra i minori permane elevata e pari al 12,1% (1 milione 208 mila, 12,5% nel 2016); si attesta quindi al 10,5% tra le famiglie dove è presente almeno un figlio minore, rimanendo molto diffusa tra quelle con tre o più figli minori (20,9%). L’incidenza della povertà assoluta aumenta prevalentemente nel Mezzogiorno sia per le famiglie (da 8,5% del 2016 al 10,3%) sia per gli individui (da 9,8% a 11,4%), soprattutto per il peggioramento registrato nei comuni Centro di area metropolitana (da 5,8% a 10,1%) e nei comuni più piccoli fino a 50mila abitanti (da 7,8% del 2016 a 9,8%). La povertà aumenta anche nei centri e nelle periferie delle aree metropolitane del Nord. L’incidenza della povertà assoluta diminuisce all’aumentare dell’età della persona di riferimento. Il valore minimo, pari a 4,6%, si registra infatti tra le famiglie con persona di riferimento ultra sessantaquattrenne, quello massimo tra le famiglie con persona di riferimento sotto i 35 anni (9,6%). A testimonianza del ruolo centrale del lavoro e della posizione professionale, la povertà assoluta diminuisce tra gli occupati (sia dipendenti sia indipendenti) e aumenta tra i non occupati; nelle famiglie con persona di riferimento operaio, l’incidenza della povertà assoluta (11,8%) è più che doppia rispetto a quella delle famiglie con persona di riferimento ritirata dal lavoro (4,2%). Cresce rispetto al 2016 l’incidenza della povertà assoluta per le famiglie con persona di riferimento che ha conseguito al massimo la licenza elementare: dall’8,2% del 2016 si porta al 10,7%. Le famiglie con persona di riferimento almeno diplomata, mostrano valori dell’incidenza molto più contenuti, pari al 3,6%. |
Gli stranieri e la povertà assoluta
Un dato importante, visto anche l’attuale dibattito politico in Italia, è quello riguardante le famiglie povere non italiane.
Secondo i dati Istat, nel 2017 c’erano in Italia 158mila famiglie povere in più rispetto all’anno precedente (1 milione e 778 mila contro il milione e 619 mila del 2016).
Tabella – Povertà assoluta delle famiglie per cittadinanza. Anni 2016-2017, valori assoluti (in migliaia) e percentuali.
CHE COS’E’ LA “POVERTA’RELATIVA”. |
La soglia di “povertà relativa” è calcolata dall’Istat in modo simile al rischio di povertà assoluta, ma guardando solo alle spese per i consumi. Rispetto al reddito non si tiene conto, per esempio, di quello che alcune famiglie riescono a risparmiare. Più o meno l’idea è che se una famiglia non sia in condizione di spendere gli stessi soldi che in media le altre famiglie spendono, è considerata sulla soglia della povertà relativa. |
IL REI: ALCUNE ESPERIENZE.
Ne accenniamo citando una intervista fatta ad Antonio Decaro, sindaco di Bari e Presidente dell’Associazione nazionale comuni italiani (3).
Alla domanda “Quali misure possono accompagnare l’introduzione del Rei per ridurre le diseguaglianze presenti nei vari territori”, il sindaco di Bari così risppondeva:
” Oltre alle varie misure di sostegno economico e i servizi dedicate alle persone in condizione di vulnerabilità che i Comuni abitualmente attivano, nel corso di questi ultimi anni molte amministrazioni hanno messo in campo alcune misure locali anche anticipatrici e/o integrative del…Rei.
Personalmente posso raccontare l’esperienza di Bari, dove il Comune ha previsto un reddito di supporto con i “Cantieri attivi di cittadinanza”, che è una misura nata nel 2014 e finalizzata a promuovere l’inserimento socio-lavorativo di persone disoccupate e inoccupate della città di Bari. Alla misura si accede con un reddito ISEE inferiore ai 3000 euro, attraverso l’attivazione di tirocini formativi presso operatori economici e sociali del territorio. Si tratta di una iniziativa che ha registrato numeri importanti: a luglio 2017 abbiamo 1149 cittadini ammessi al progetto, 190 imprese, 1147 persone che hanno sostenuto almeno un colloquio per un totale di 4735 colloqui, 575 tirocini avviati e 362 conclusi, e 45 rapporti trasformati in contratti di lavoro, con un investimento comunale di 1milione e 200mila e altri 800mila euro del 2016.
Posso inoltre richiamare altre esperienze locali, quali quelle del Comune di Livorno, che dal 2016 ha previsto un “Reddito di cittadinanza locale”; quella del Comune di Piacenza, con il Fondo Anticrisi 2016, o il Comune di Ragusa, che nello stesso anno ha adottato il “Reddito minimo di cittadinanza”. Si tratta dunque di misure sociali importanti di sostegno al reddito che hanno preceduto quelle nazionali (e in alcuni casi anche quelle regionali) e che oggi andranno armonizzate con il REI, come abbiamo chiesto al tavolo con il Ministero, Regioni e INPS il 20 dicembre scorso.
“Rastrellare” tutti i sussidi oggi esistenti per farli confluire nel reddito di cittadinanza?
Partiamo da una prima considerazione: si sta allontanando sempre di più l’ipotesi di un reddito di cittadinanza di “tipo universale”, cioè dato a tutti i cittadini a prescindere dal reddito.
Questo perchè si stanno facendo i conti e si stanno verificando concretamente i forti oneri connessi con tutta l’operazione.
Ecco allora venire avanti una nuova ipotesi, quella di selezionare fortemente i beneficiari e “rastrellare” tutti i sussidi oggi esistenti con l’obiettivo di ridurre quanto più possibile i costi del nuovo “reddito di cittadinanza”.
Ne fa menzione recentemente Il Corriere della Sera (4):”… I tecnici del governo che lavorano sul reddito di cittadinanza hanno già spiegato che un assegno da 780 euro al mese, cioè la somma piena, andrà solo a chi vive in affitto e ha un Isee (indicatore della situazione economica familiare) pari a zero, non ha cioè né redditi né ricchezza patrimoniale. Se invece, pur avendo Isee zero, è proprietario della casa, dai 780 euro verrà scalato un affitto «figurativo» (almeno 280 euro) riducendo l’assegno a circa 500 euro.
Il sussidio sarà ancora più basso per chi ha redditi da lavoro (per esempio da part time o tirocini), e probabilmente anche per chi gode già di sostegni pubblici di qualunque tipo…ad esempio, se qualcuno usufruisce dei buoni per le mense scolastiche, dei sostegni all’affitto, di quelli per gli abbonamenti ai trasporti pubblici locali, delle integrazioni temporanee al reddito dei più bisognosi e così via. Tutti benefit che dovrebbero andare a decurtare il nuovo reddito.
Con la banca dati, per ogni famiglia che chiede il beneficio, si potrà verificare se qualche componente beneficia già del Rei, il reddito di inclusione del vecchio governo (destinato a sparire), di una pensione di invalidità, o della maggiorazione sociale, di una pensione di guerra o integrata al minimo, la 14esima sulla stessa, l’assegno sociale o quello di accompagnamento. Nella stessa banca dati, secondo il progetto, potrebbero confluire gli ammortizzatori sociali, cioè la Naspi (indennità di disoccupazione) e l’Asdi, ovvero l’assegno che spetta per sei mesi a chi aveva finito la Naspi e ha un Isee non superiore a 5mila euro (ora in corso di assorbimento nel Rei)”.
L’unica ottica non può essere quella della riduzione degli oneri di bilancio.
Riteniamo, però, che non possiamo trattare situazioni e condizioni personali solo con l’ottica di una riduzione degli oneri di bilancio. Come si può vedere, infatti, dall’elenco sopracitato ci sono assegni e benefici mirati a situazioni specifiche che, a nostro parere, dovrebbero essere mantenuti, anche se “scalati” dai 780 euro del “reddito di cittadinanza”.
In ogni caso -come abbiamo già indicato- sotto il nome di “reddito di cittadinanza” ci sono due problematiche, certamente collegate ma distinte.
La prima è il reddito che viene erogato in stretto collegamento con la ricerca di un lavoro.
La seconda questione riguarda il modo con cui si aiutano le famiglie povere a superare la propria condizione: qui è necessario offrire un supporto immediato sia per mezzo di servizi -dalla casa alla scuola, al sostegno per i bambini piccoli ecc.- che un “riorientamento” all’attività lavorativa dopo anni di esclusione dal mondo del lavoro.
Per questo -con particolare riferimento a questo secondo aspetto riteniamo che non debba essere smantellata l’esperienza del reddito di inclusione, che sta vedendo la scesa in campo delle amministrazioni comunali, ma anche di molte regioni, con un buon approccio metodologico, ma -almeno finora- con risorse economiche non adeguate ai compiti in cui sono impegnate.
Far scomparire il Rei significa far venir meno l’apporto della rete delle autonomie locali, che giustamente non si limita solo a fare un “compitino burocratico” -avviare le pratiche per chi ne ha diritto, far compilare correttamente i moduli di domanda ecc-, ma è vicina a chi ne ha bisogno con i propri operatori sociali ecc.
Bisogna inoltre tener presente che anche alcune importanti Regioni hanno previsto ulteriori significativi interventi contro la povertà, con aiuti riguardanti gli asili nido, le mense ecc.
La soluzione migliore ci sembra essere, quindi, quella che punta ad innestare i nuovi interventi sul rafforzamento e coordinamento di quelli già oggi esistenti.
(1) L’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente), è lo strumento che viene adottato da enti pubblici e privati per valutare la situazione economica delle famiglie che intendono richiedere una prestazione sociale agevolata (prestazione o riduzione del costo del servizio).
(2) E’ l’Indicatore della Situazione Reddituale Equivalente ai fini ReI determinato in base al numero del nucleo famigliare, che si ricava da alcune voci dell’ISEE.
(3) Da www.benecomune.net, 29 dicembre 2017.
(4) L’anagrafe leghista dei sussidi, Enrico Marro e Mario Sensini, Il Corriere della Sera, 3 novembre 2018.