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di Antonio Vargiu

Molti anni fa, quando non erano ancora “esplose” le nuove tecnologie informatiche, ebbi modo di far visita ad alcune società che vendevano per corrispondenza: al centro della struttura produttiva faceva bella mostra di sè un nastro che, scorrendo, trasportava scatoloni che man mano venivano riempiti di prodotti da spedire. Una vera e propria catena che costringeva gli addetti a ritmi sostenuti e non aveva molto da invidiare alle fabbriche metalmeccaniche dell’epoca, basate sull’organizzazione fordista del lavoro.

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Ora siamo nella “modernità” ed è apparso un gigante che, utilizzando internet, vende on line una infinità di prodotti.

Sembra tutto un altro mondo, ma è bene guardarlo attentamente.

Perchè oggi tutta questa attenzione su Amazon in Italia.

La risposta è nei fatti: fino a qualche anno fa Amazon era conosciuta soprattutto per la vendita di libri on line, ma poi la società si è evoluta fino ad occupare oggi tutta la infinita gamma di prodotti che vende sul proprio “negozio virtuale”.

Naturalmente è necessaria anche una “parte fisica” perchè i prodotti bisogna smistarli e farli arrivare a destinazione, come si faceva una volta con i pacchi spediti per posta. Da qui la creazione di grandi magazzini sparsi su tutti i continenti, anche in Europa, anche in Italia.

La “bottega italiana” è nata a Castel S.Giovanni, alla periferia di Piacenza: su 86 mila metri quadrati lavorano attualmente circa 1600 lavoratori “fissi”, a cui si aggiungono nei periodi di più intensa attività, come ad esempio nel periodo natalizio, circa altri 2 mila lavoratori, reclutati dalle agenzie di lavoro interinale.

magazzino-amazonff9e258827d61cdc8e48840840d6be69_xlIl panorama del magazzino è fatto di chilometri di scaffalature, con milioni di articoli pronti ad essere spediti.

Nel settembre scorso è stato inaugurato un secondo centro di distribuzione a Passo Corese, vicino Roma.

L’estensione è di 65 mila metri quadri, 400 gli addetti, un numero che appare sorprendentemente basso se paragonato a Piacenza, anche se sembra destinato a crescere fino a 1.200 addetti entro i prossimi tre anni. Le motivazioni di questo numero ridotto di occupati le vedremo, comunque, più avanti.

La meraviglia delle nuove tecnologie

Ovviamente la parte innovativa consiste nel software che deve catalogare e rendere facilmente disponibili i prodotti, come deve -in parallelo- organizzare il lavoro, definire i turni, considerare le variabili (malattie, permessi, ferie ecc.).

I “creatori” dei vari sistemi sono, ovviamente, lavoratori altamente qualificati, ma in questa divisione del lavoro la “fetta migliore” spetta alla casa-madre, in America.

Ovviamente l’innovazione tecnologica è in continuo movimento, alla ricerca di sistemi di “evasione ordini” sempre più efficienti e produttivi.

Ecco allora che il nuovo magazzino di Passo Corese parte con sistemi sempre più automatizzati: spuntano fuori i robot e, come racconta un visitatore del magazzino Dunstable (Gran Bretagna), che fa da modello a questa nuova “generazione”, quello che colpisce “sono gli scaffali sistemati dentro innumerevoli corsie recintate, perchè non sono più gli operatori che devono aggirarsi tra le corsie, alla ricerca dello scaffale e del prodotto giusto, ma è lo scaffale che si muove verso l’operatore.

Al magazziniere resta sempre il compito di estrarre o inserire prodotti su quello stesso scaffale che si sarà mosso verso di lui autonomamente.

La modernità va bene, ma la qualità del lavoro?

Le cifre dell’occupazione di cui stiamo parlando sono, evidentemente, di grande rilievo, oltretutto in una situazione in cui in Italia si sta faticosamente uscendo da una crisi quasi decennale.

Ma che la “classe operaia non stia, poi, andando in paradiso” (per parafrasare un vecchio film italiano ambientato negli anni della contestazione operaia) se ne sono accorti tutti recentemente, quando Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs di Piacenza hanno proclamato uno sciopero per il black friday di fine novembre scorso.

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CHRIS J RATCLIFFE/AFP/Getty Images

I motivi? Un’organizzazione del lavoro che spreme e non tiene in conto le esigenze dei lavoratori.

Matteo Zorzoli sul sito Business Insider Italia del 23 novembre u.s. raccoglie alcune testimonianze di lavoratori di Castel S.Giovanni :

“Ad Amazon sopravvivi al massimo 4-5 anni. L’azienda ti spreme fino a quando le servi e poi sarai tu stesso a decidere di lasciarla”.

Luca (lo chiameremo così per garantirne l’anonimato) ogni giorno smista dai 18 ai 24mila pacchi e percorre circa 10 chilometri in uno spazio grande come dodici campi da calcio. Non può parlare con i suoi colleghi durante le otto ore di lavoro e deve giustificarsi se va in bagno più di una volta nello stesso turno.

Proprio oggi, in occasione del Black Friday, il Venerdì Nero, in cui le richieste di acquisto online raggiungeranno il picco massimo (l’anno scorso sono arrivate a 1,1 milioni solo in Italia) Luca incrocerà le braccia assieme a molti dei suoi colleghi nel primo sciopero organizzato dalle organizzazioni sindacali del territorio per i lavoratori Amazon. Un’occasione unica per lanciare ai vertici del colosso americano un segnale forte sulle condizioni di lavoro estreme all’interno dei centri di smistamento.

Come tutte le catene di montaggio che si rispettino, anche quella di Amazon è divisa in reparti – spiega Luca –  Ci sono i “receive” che registrano con pistole scanner tutti i prodotti che arrivano all’interno del magazzino su un nastro trasportatore. Ci sono i “runner” che riempiono delle ceste, spesso molto pesanti, le spostano senza sosta da una parte all’altra dello stabilimento, riempiono gli scaffali e aggiornano l’inventario. E infine c’è l’”outbound“, la parte finale e forse più frenetica, in cui i prodotti ordinati devono essere caricati sui furgoncini che raggiungeranno tutte le città italiane”.

Ogni singolo movimento viene monitorato dal “Grande Fratello” aziendale. Appena un lavoratore comincia a usare la sua pistola scanner, il suo nome viene automaticamente associato all’apparecchio: in questo modo i manager potranno calcolare i suoi tempi di lavoro. “Sanno in tempo reale cosa fai e in quanto tempo lo fai – racconta Luca -. Se non hai il “passo Amazon”, l’andatura frenetica che fin dal primo giorno ti dicono di tenere, vieni affiancato da un responsabile che ti detta i tempi corretti per mantenere gli standard”.

Naturalmente lo stress, l’ansia e la fatica causati dall’ossessione della produttività e dal rispetto delle scadenze hanno ripercussioni sulla salute psico-fisica dei dipendenti. “E’ capitato molte volte che l’ambulanza portasse via dipendenti colpiti da attacchi di panico – ricorda Angela, un’altra dipendente che aderirà allo sciopero. “Conosco colleghi che ormai da anni sono sotto psicofarmaci e soffrono di depressioneIl sindacato stesso mette a disposizione un supporto psicologico”.
Molti lavoratori accusano ernie o dolori alla schiena o al collo, senza contare i problemi alle ginocchia, le tendiniti e le sindromi del tunnel carpale. “Molti dei movimenti che facciamo fino allo sfinimento dovrebbero essere svolti da macchine, 
l’uomo non dà alcun valore aggiunto alla catena produttiva – continua Luca –. Ma noi siamo i loro robot e a nessuno importa se la mia caviglia, sottoposta alla stessa torsione da destra a sinistra per più di anno, ora non ha più cartilagine”.

manager, spesso giovani neolaureati, si limitano a farci fare stretching durante il briefing di inizio giornata, in cui ci motivano a dare il nostro meglio – spiega Angela. – Se chiedi un colloquio con uno di loro per informarlo delle tue condizioni di salute sono anche disposti ad ascoltarti, ma poi non seguono decisioni che migliorano la tua situazione. La giustificazione più abusata? Non si fanno favoritismi.

Altra accusa: l’azienda americana non applica la rotazione delle mansioni in caso di malattia “normale” (figuriamoci per quella “professionale”), la cosiddetta “job rotation” contenuta nel Documento di Valutazione dei Rischi aziendali (DVR).

Nonostante il clima aziendale ostile, i sindacati si organizzano e raccolgono consensi da parte dei lavoratori.

In azienda si respira tuttora un clima antisindacale – racconta Luca –. Qualsiasi forma di aiuto per i lavoratori è vista dalla dirigenza come un rallentamento dei processi. Più volte mi è capitato di assistere a ritorsioni verso dipendenti che avevano partecipato alle assemblee all’interno dell’azienda. Un po’ di tempo fa un responsabile che aveva presenziato per circa un’ora, senza alcuna spiegazione è stato messo a svolgere una mansione ‘da operaio’ per due settimane. Molti dei contratti “a somministrazione” sono stati lasciati a casa per la stessa motivazione”.

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L’ostilità nei confronti delle organizzazioni sindacali non è stata manifestata solo in Italia, visto che sia in Inghilterra che in Germania ci sono state agitazioni e scioperi dei lavoratori. Ma la “filosofia” della multinazionale è quella di avere un rapporto diretto con i lavoratori, facendo leva sulla “ricattabilità” del singolo e sulla presenza di un nutrito gruppo di precari, perchè tali possiamo considerare i lavoratori interinali che, da un giorno all’altro, possono perdere la possibilità di operare nel magazzino.

La vertenza di Piacenza non ha prodotto ancora nessun risultato, nonostante la fondatezza delle richieste: discutere dell’attuale organizzazione del lavoro, definire turni e ritmi più ragionevoli, concordare un salario di produttività visti i risultati positivi messi sempre in evidenza dall’azienda.

La lotta, quindi, continua, i sindacati sono finora sostenuti dal consenso e da un forte impegno dei lavoratori ma, nel frattempo, sarebbe bene che anche le istituzioni dessero un’occhiata più ravvicinata a questo “colosso” che, nelle vendite on line, sostanzialmente è e si comporta da monopolista, approfittando spesso di questa sua posizione per condizionare pesantemente sul mercato gli operatori commerciali.

Nel frattempo un primo intervento dell’Ispettorato lascia ben sperare che non si permetta ad Amazon di violare le leggi italiane sul lavoro, comprese quelle sull’ambiente e sicurezza, visto che le 3500 ore di corsi sbandierate dall’azienda non hanno impedito il mettere in atto comportamenti e pressioni, che “nuocciono gravemente alla salute” dei lavoratori.

Sicuramente avremo presto l’occasione di riparlare ancora di Amazon Italia.

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