Le osservazioni critiche (non molto fondate) di parte datoriale.
di Antonio Vargiu
Critiche alla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione sono comparse sul Il Sole 24 ore in due successivi articoli.
Il 9 giugno u.s. Giampiero Falasca esprime un primo dissenso sottolineando presunte contraddizioni all’interno della sentenza e delle sue motivazioni.
Innanzitutto si parte da una banale osservazione sul fatto che “le rappresentanze aziendali non sono organi che coincidono necessariamente con una singola persona fisica, ben potendo essere composti da più dirigenti sindacali”, alludendo quindi ad una presunta difficoltà di gestione della norma così come interpretata.
Ma questa non è certo una novità, perchè la stessa possibilità esisteva anche con le rsa e, comunque, non incide per niente sui ragionamenti fatti dai giudici, i quali si riferiscono ai rappresentanti aziendali delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. La titolarità dell’indizione di una parte delle assemblee rimane in capo alle organizzazioni sindacali, che gestiscono questa loro prerogativa tramite i propri “terminali” in azienda, a prescindere dalla loro modalità di elezione.
L’autore dell’articolo si pone, poi, una seconda domanda: sono in gioco solo le tre ore o tutto il monte ore delle assemblee retribuite?
La risposta sembra piuttosto semplice, dal momento che le Sezioni Unite della Cassazione procedono all’interpretazione sistematica sia della norma di legge (lo Statuto dei lavoratori) che dell’accordo interconfederale: quest’ultimo parla esplicitamente, come abbiamo visto, di tre ore del totale delle ore disponibili per le assemblee retribuite dei lavoratori.
E’ di queste tre ore, quindi, che stiamo parlando!
La critica di merito più importante arriva dopo: la sentenza della Cassazione sarebbe in aperta contraddizione con il successivo art.8 dell’accordo interconfederale che così “recita “:
“8. Clausola di salvaguardia. Le organizzazioni sindacali, dotate dei requisiti di cui all’art. 19, l. 20 maggio 1970, n. 300, che siano firmatarie del presente accordo o, comunque, aderiscano alla disciplina in esso contenuta, partecipando alla procedura di elezione della r.s.u., rinunciano formalmente ed espressamente a costituire r.s.a. ai sensi della norma sopra menzionata”.
A questa obiezione possiamo solo rispondere che tutte le pagine della sentenza delle Sezioni Unite sono piene di argomentazioni che dimostrano come la rinuncia delle organizzazioni sindacali a costituire rsa non ha niente a che fare con la possibilità loro consentita -su base pattizia- di poter indire anche singolarmente -nell’ambito delle tre ore- assemblee retribuite dei lavoratori.
Il giorno successivo -10 giugno-, sempre su Il Sole 24 ore, scende in campo il prof. Raffaele De Luca Tamajo con un articolo intitolato molto esplicitamente “La Cassazione dimentica la collegialità delle Rsu”.
De Luca Tamajo esprime tre motivi di perplessità, che riguardano:
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l’argomentazione utilizzata;
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le conseguenze pratiche;
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la concezione della figura della Rsu e, più in generale, del ruolo del sindacato.
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Contestando sostanzialmente il diritto dei “sindacati esterni” di mantenere alcune loro prerogative all’interno del nuovo organismo di base unitario, si critica la sentenza della Cassazione, che entrerebbe in contraddizione con sé stessa in quanto“…il privilegio eccezionalmente riconosciuto alle singole organizzazioni sindacali che hanno negoziato il ccnl… costituisce conferma della regola generale di funzionamento collegiale e maggioritario della Rsu”.
Questa sarebbe una critica seria, peccato che la Cassazione dice esattamente la stessa cosa, non sognandosi nemmeno di mettere in discussione il carattere collegiale della rsu.
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Il professore mette, poi, in guardia dalle possibili “conseguenze paradossali” dal punto di vista pratico, citando un fenomeno piuttosto anomalo: quello di “richiedere le assemblee mediante fax alle oo:o1 del 1° gennaio di ciascun anno onde saturare subito la disponibilità oraria e precludere ad altre organizzazioni aventi titolo la possibilità di indizione…”.
Su questo vorremmo tranquillizzare il professore: almeno nei nostri settori, quelli del Terziario, i delegati alle oo:o1 del 1° gennaio sono impegnati a fare altre cose, ad esempio i brindisi per il nuovo anno, e non certo a pensare di gestire l’indizione delle assemblee in maniera così palesemente sciocca.
Prova ne sia che il ccnl TDS (Terziario, Distribuzione e Servizi – Confcommercio) dà nome e cognome a chi ha diritto di indire le tre ore di assemblea: Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs, naturalmente una a testa! (1)
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Alla fine il prof. De Luca Tamajo conclude con una considerazione di carattere più generale, con cui esprime un parere, chiaramente di parte imprenditoriale. I giudici sbaglierebbero a far “prevalere le istanze di pluralismo su quelle di collegialità e unitarietà della rappresentanza aziendale in spregio anche all’equilibrio voluto dalle parti firmatarie dell’Accordo interconfederale del ‘93”.
Perché –dice- quello che volevano le parti era un rilancio della democrazia di base, che dovrebbe assolutamente prevalere sulle appartenenze sindacali storiche.
Ma chi sono, alla fine, queste parti?
Sono soprattutto le imprese, il cui obiettivo principale, nel definire l’accordo, era quello di avere “una rappresentanza aziendale più forte e meno condizionata dalle organizzazioni esterne”. Sostanzialmente, diciamo noi, una “via italiana” al neocorporativismo.
Peccato che le intenzioni delle organizzazioni sindacali non siano state sulla stessa lunghezza d’onda, come si può tranquillamente vedere dalla lettura di tutto l’accordo interconfederale!
(1)
L’ultimo comma dell’articolo 26 del ccnl TDS (Terziario, Distribuzione e Servizi – Confcommercio), così “recita”: “Nelle unità produttive con più di 15 dipendenti in cui è costituita la R.S.U. il monte ore per le assemblee dei lavoratori viene così ripartito: il 70% a disposizione delle R.S.U., il restante 30% sarà utilizzato pariteticamente da Filcams, Fisascat e Uiltucs tramite la R.S.U.”.