A proposito di assemblee retribuite: una recentissima sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione.
Anche con le rsu, le assemblee possono essere convocate dal rappresentante di una singola organizzazione sindacale (1 parte).
di Antonio Vargiu
Non sono molte le sentenze definite “solennemente” dalle Sezioni Unite della Cassazione: ne esce, quindi, rafforzata la recente pronuncia (1) in materia di lavoro e di diritti sindacali.
IL FATTO
Tutto è partito “nel lontano 2002”: sembra l’inizio di una favola ma questi sono stati i tempi per percorrere tutto l’iter della vertenza.
Dunque, per la data del 17 ottobre 2002, la Fiom-Cgil del comprensorio territoriale di Pomigliano d’Arco chiede ad Alenia Aeronautica spa di svolgere un’assemblea retribuita.
L’azienda respinge la richiesta, negando che un singolo membro della rappresentanza sindacale unitaria possa, in maniera non collegiale, chiedere lo svolgimento di un’assemblea sindacale retribuita.
Il primo ricorso della Fiom viene respinto dal Tribunale di Nola. Il sindacato ricorre in appello e questa volta il Tribunale di Napoli (sono passati dieci anni!) accoglie il ricorso (2). A questo punto l’azienda ricorre in Cassazione.
IL MERITO DEL “CONTENZIOSO”.
Le Sezioni Unite, di fronte al dilemma posto dalle due parti, -può o no un singolo membro eletto tra le rappresentanze sindacali unitarie mantenere una delle prerogative delle “vecchie” rappresentanze sindacali aziendali, quella cioè di chiedere –anche singolarmente- la convocazione di un’assemblea retribuita- si pongono il problema di interpretare sia le norme di legge che i successivi accordi interconfederali stipulati tra Confindustria e Cgil Cisl Uil.
La tesi dell’azienda:
– le rsa, riconosciute dallo Statuto dei lavoratori, hanno una propria soggettività, che però -come viene ricavato dall’art. 4 dell’accordo interconfederale Confindustria- Cgil Cisl Uil del 13 dicembre 1993- è destinata a dissolversi nel nuovo organismo unitario;
-del resto, sempre secondo l’interpretazione degli avvocati dell’azienda, anche ai sensi dell’art. 20 dello Statuto, il diritto di convocare un’assemblea retribuita si configurava come un diritto collettivo e non individuale.
La tesi sindacale:
– è ovviamente opposta a quella aziendale e ritiene il diritto di chiedere un’assemblea retribuita non assorbito nel nuovo organismo, sia pure eletto unitariamente.
IL RAGIONAMENTO DELLA CASSAZIONE
Effettivamente nel tempo la Cassazione ha assunto, in merito, orientamenti diversi. Alcune sentenze si sono espresse affermando che il diritto di indire assemblee retribuite è attribuito alle rsu nel loro complesso:
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la sentenza n. 2855/2002 sottolinea la natura di organo collegiale delle r.s.u., chiamate a deliberare a maggioranza e in piena autonomia sulle scelte di politica sindacale e di esercizio dei relativi diritti nell’ambito dell’unità produttiva, negando che la sua singola componente possa esercitare autonomamente il potere di indire l’assemblea;
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la sentenza n. 21909/2009 ritiene esente da vizi logico-giuridici l’interpretazione dell’accordo interconfederale 20 dicembre 1993 fornita dai giudici di merito, secondo la quale l’accordo prevede il subentro dei singoli componenti della r.s.u. nei diritti e nelle prerogative che lo Statuto dei Lavoratori riconosce non alle r.s.a., ma ai loro dirigenti come singole persone, escluso – quindi – il diritto di indire l’assemblea.
Altre sentenze, invece, si orientano in senso opposto.
La più rilevante è la sentenza n. 15437/2014 (subito condivisa da Cass. n. 17458/2014), che attribuisce il diritto di indire assemblee, di cui all’art. 20 della legge n. 300 del 1970, non solo alla r.s.u. considerata collegialmente, ma anche a ciascun suo componente, purché eletto nelle liste di un sindacato che, nell’azienda di riferimento, sia di fatto munito di rappresentatività.
Le riunioni – che possono riguardare la generalità dei lavoratori o gruppi di essi – sono indette, singolarmente o congiuntamente, dalle rappresentanze sindacali aziendali nell’unità produttiva, con ordine del giorno su materie di interesse sindacale e del lavoro e secondo l’ordine di precedenza delle convocazioni, comunicate al datore di lavoro.
Alle riunioni possono partecipare, previo preavviso al datore di lavoro, dirigenti esterni del sindacato che ha costituito la rappresentanza sindacale aziendale.
Ulteriori modalità per l’esercizio del diritto di assemblea possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro, anche aziendali».
I requisiti per essere riconosciuti sindacato rappresentativo.
Questo della rappresentanza è un elemento molto importante, da tenere assolutamente presente.
Recita l’art. 19 (nel testo modificato dall’esito referendario dell’11 giugno 1995): «Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva nell’ambito: … b) delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva».
Si parla, quindi, di contratti nazionali o aziendali. Ma la Corte costituzionale, con sentenza 3-23 luglio 2013, n. 231, ha aggiunto un altro criterio, dichiarando l’illegittimità costituzionale della lett. b) del cit. art. 19 nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla loro negoziazione quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda.
La Cassazione interpreta l’accordo interconfederale Confindustria Cgil Cisl Uil del 20 dicembre 1993.
Poichè lo Statuto dà la possibilità alla contrattazione collettiva di intervenire e di ampliare il diritto e le modalità di gestione delle assemblee sindacali retribuite, le Sezioni Unite vanno ad interpretare le norme specifiche contenute nell’accordo interconfederale del 1993.
In particolare l’art.4 prevede che :«I componenti delle r.s.u. subentrano ai dirigenti delle r.s.a. nella titolarità di diritti, permessi, libertà sindacali e tutele già loro spettanti; per effetto delle disposizioni di cui al titolo 3° della legge n. 300/1970.
Sono fatte salve le condizioni di miglior favore eventualmente già previste nei confronti delle associazioni sindacali dai c.c.n.l. o accordi collettivi di diverso livello, in materia di numero dei dirigenti della r.s.a., diritti, permessi e libertà sindacali…
In tale occasione, sempre nel rispetto dei principi sopra concordati, le parti definiranno in via prioritaria soluzioni in base alle quali le singole condizioni di miglior favore dovranno permettere alle organizzazioni sindacali con le quali si erano convenute, di mantenere una specifica agibilità sindacale.
In tale ambito sono fatti salvi in favore delle organizzazioni aderenti alle associazioni sindacali stipulanti il c.c.n.l. applicato nell’unità produttiva, i seguenti diritti: a) diritto ad indire, singolarmente o congiuntamente l’assemblea dei lavoratori durante l’orario di lavoro, per 3 delle 10 ore annue retribuite, spettanti a ciascun lavoratore ex art. 20, l. n. 300/1970…».
Recita, poi, il successivo art. 5: «Le r.s.u. subentrano alle r.s.a. ed ai loro dirigenti nella titolarità dei poteri e nell’esercizio delle funzioni ad essi spettanti per effetto di disposizioni di legge».
Primo punto dell’interpretazione: l’art.20 dello Statuto già prevede un’indizione dell’assemblea retribuita da parte delle rsa «singolarmente o congiuntamente».
Secondo punto dell’interpretazione: i componenti delle rsu subentrano “ai dirigenti delle r.s.a. nella titolarità dei diritti, permessi, libertà sindacali e tutele già loro spettanti”.
Terzo punto dell’interpretazione: la natura collegiale delle rsu non viene messa in discussione, perché il problema è quello di vedere se “ accanto alle competenze delle r.s.u. proprie di tale organismo, persistano prerogative proprie delle sue singole componenti, in quanto tali esercitabili anche singolarmente e non necessariamente congiuntamente”.
Quarto punto dell’interpretazione: la risposta è sì. A questo proposito le Sezioni Unite sottolineano come “i commi 2, 3 e 4 si occupano delle condizioni di miglior favore eventualmente già previste a livello contrattuale nei confronti delle associazioni sindacali dai c.c.n.l. o accordi collettivi di diverso livello, in materia di numero dei dirigenti della r.s.a., diritti, permessi e libertà sindacali e delle successive armonizzazioni negoziali nell’ambito dei singoli istituti contrattuali.
In particolare il comma 4 “prosegue in tale regime di eccezione stabilendo che le parti definiranno in via prioritaria soluzioni in base alle quali le singole condizioni di miglior favore dovranno permettere alle organizzazioni sindacali, con le quali si erano convenute, di mantenere una «specifica agibilità sindacale»”.
E’ smentita quindi l’interpretazione secondo la quale “le prerogative delle singole r.s.a. si sarebbero tutte confuse e dissolte all’interno del principio di maggioranza che regge le r.s.u.”
Conclusione della Cassazione: non siamo in presenza di un’interpretazione possibile solo perché frutto di un errore lessicale.
No, la formulazione degli articoli dell’accordo interconfederale è il frutto di un compromesso, non solo tra le parti, ma anche tra organizzazioni sindacali.
Infatti questa soluzione ha consentito di venire incontro a quelle organizzazioni sindacali che temevano di perdere condizioni di miglior favore “di origine sia negoziale che legislativa”.
Ma non solo.
Una lettura in positivo del processo decisionale democratico delle organizzazioni sindacali.
A questo proposito la Cassazione mette a confronto due strumenti di consultazione democratica dei lavoratori a disposizione delle organizzazioni sindacali, il referendum e l’assemblea.
Nota la sentenza che questi due strumenti possono ben coesistere: il referendum, infatti, viene convocato quando una decisione deve essere presa da tutti i lavoratori e non può non essere convocato che unitariamente dalle rsu.
Ma il percorso democratico non è fatto solo di decisioni, ma anche di una preparazione al momento decisionale. Deve essere, quindi, consentito, anzi sollecitato un ampio dibattito, un ampio confronto di idee.
Dentro questo percorso, quindi, può giustamente essere previsto un momento di confronto promosso anche da una singola organizzazione, con l’utilizzazione di una parte delle assemblee retribuite previste dalla legge e dai contratti.
Una sentenza, questa delle Sezioni Unite, molto importante che, sia pure giunta a 15 anni dal fatto contestato, risulta utile e dà indicazioni di grande attualità, soprattutto in un momento che sembra ci sia un forte rilancio della costituzione delle rsu in sostituzione delle rsa in più ampi settori della nostra vita produttiva e sindacale.
La sentenza
In conclusione la Cassazione rigetta il ricorso di Alenia spa, sottolineando che: “è proprio l’insistito richiamo (che si legge in larga parte della dottrina) al principio di maggioranza o di democrazia sindacale maggioritaria a dimostrare, invece, che là dove si parli di (mere) assemblee, vale a dire di momenti di confronto che precedono e preparano quelli decisionali propriamente detti, la tutela delle voci singole (ed eventualmente dissenzienti) è irrinunciabile” (3).
(1) S.U. Cassazione, sentenza 6 giugno 2017 n.13978.
(2) Tribunale di Napoli, sentenza 27 luglio 2012.
(3) Le spese del giudizio di legittimità vengono, invece, compensate tra le parti, “considerata la problematicità della materia del contendere alla luce dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale sul tema della legittimazione ad indire assemblee sindacali”.