CASSAZIONE E TRIBUNALI CONFERMANO IL DIRITTO DEI LAVORATORI A SCEGLIERE DI NON LAVORARE NELLE FESTIVITA’ (ma attenti a come e quando fare gli “accordi individuali”!).
di Antonio Vargiu
L’orientamento giurisprudenziale della Cassazione è univoco: i lavoratori hanno il diritto di scegliere se lavorare o no durante le festività.
In questo articolo prima esamineremo attentamente le motivazioni che costituiscono la base di questa affermazione, successivamente ne metteremo in luce alcune lacune, che rischiano di mettere in difficoltà, nella pratica, l’esercizio di questo diritto.
Ma entriamo di più nel particolare.
Per far questo ci serviremo della sentenza del Tribunale di Rovereto (n.10/2016), ( Leggi Sentenza in PDF) che dirime una controversia sulle festività tra la filiale di Arco di Eurospar ed alcune lavoratrici.
Non meravigli questa citazione perché le motivazioni sono espresse in maniera molto chiara e sistematica.
I fatti
Le lavoratrici, dopo aver comunicato con tempestività la loro decisione di non recarsi al lavoro in alcune festività nazionali infrasettimanali, avevano subito dall’azienda diversi provvedimenti disciplinari.
Da qui il sorgere della vertenza e, dopo un vano tentativo di conciliazione, il ricorso al tribunale.
Le lavoratrici hanno ragione: ecco perché.
La pronuncia della suprema corte è stata molto lapidaria: “Il ricorso merita accoglimento”.
Questi i motivi, ricavati da ampie citazioni sia di leggi che di sentenze:
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ai lavoratori viene riconosciuto il “diritto soggettivo” di astenersi dal lavoro in occasione delle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose (Cass. n.4435/2004, Cass. n.9176/1997, Cass. n.5712/1986);
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la possibilità di svolgere attività lavorative nelle festività infrasettimanali non significa che la trasformazione da giornata festiva a lavorativa possa avvenire per libera scelta del datore di lavoro, in quanto la rinuncia al riposo non è rimessa né alla volontà esclusiva del datore di lavoro né a quella del lavoratore, ma al loro accordo;
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la normativa sulle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose (legge 260/1949) è successiva alla normativa sul riposo domenicale e settimanale (legge 370/1934) e non ne prevede una equiparazione; una successiva norma (legge 520/1952) ha stabilito che solo per “il personale di qualsiasi categoria alle dipendenze delle istituzioni sanitarie pubbliche e private” sussiste l’obbligo della prestazione lavorativa durante le festività, su ordine datoriale in presenza di “esigenze di servizio”;
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non esiste, quindi, un obbligo generale a carico dei lavoratori di effettuare la prestazione nei giorni destinati ex lege per la celebrazione di ricorrenze civili o religiose;
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sono nulle le clausole della contrattazione collettiva che prevedono tale obbligo, in quanto incidenti sul diritto dei lavoratori di astenersi dal lavoro (cui si può derogare solo per il lavoro domenicale); in nessun caso, quindi, una norma di un contratto collettivo può comportare il venir meno di un diritto già acquisito dal singolo lavoratore, non trattandosi di un diritto disponibile per le organizzazioni sindacali (Cass.n. 9176/1997 cit.);
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nulla aggiunge il D.Lgs 8 aprile 2003, n.66 (in attuazione della Direttiva 93/104/CE e della direttiva 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro”), che parla solo del riposo e della possibilità che possa essere usufruito in un giorno diverso dalla domenica.
Ma i contratti individuali di lavoro possono avere clausole che consentano il lavoro domenicale?
Abbiamo visto che la Cassazione ha definito la scelta se lavorare o no nelle festività un “diritto soggettivo del lavoratore”, che in quanto tale non può essere messo in discussione neppure da accordi collettivi.
Ma questo “diritto soggettivo” non è però tra quelli irrinunciabili, come invece lo è, ad esempio, quello di godere delle proprie ferie.
A questo punto, quindi, acquista grande rilievo il tema dei tempi e delle modalità con cui viene stipulato l’“accordo individuale”.
Su questo tema delicato esistono due sentenze che si pronunciano in termini diversi e, almeno in parte, opposti.
Facciamo riferimento alla sentenza n.10 dell’8 marzo 2016 del Tribunale di Rovereto (quella che ci sta facendo –per così dire- da guida in questo articolo) e alla sentenza n.396 del 13 marzo 2018 del Tribunale di Milano .
L’orientamento del Tribunale di Rovereto
Cosa dice, nel merito, Rovereto:
“Nel caso preso in esame è presente -nei contratti individuali (ovvero di trasformazione a tempo indeterminato del rapporto)- la seguente clausola “si conviene che, qualora richiesto, lei sarà tenuta a prestare attività lavorativa nei giorni festivi e domenicali, fermo il diritto al riposo previsto dalla legge””.
Da qui la necessità di sciogliere il quesito se questo consenso, inserito nel contratto individuale di lavoro, vincoli il lavoratore per tutta la durata del rapporto.
La risposta del tribunale trentino è nettamente negativa.
Le motivazioni alla base di questo orientamento sono di due ordini:
a) il momento dell’assunzione (o del passaggio del rapporto di lavoro a tempo indeterminato) è un momento di estrema debolezza per il lavoratore;
b) il lavoratore è chiamato ad assumere un impegno per tutta la durata del rapporto, a prescindere dalle sue esigenze, anche famigliari, suscettibili di variare nel tempo.
L’accordo, quindi, va rinnovato con una tempistica atta a contemperare le esigenze organizzative dell’azienda e quelle personali del lavoratore.
La pronuncia avversa del Tribunale di Milano
Questo Tribunale cita due fatti:
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gli orari, richiamati nella lettera di assunzione, prevedevano espressamente la prestazione lavorativa nelle festività infrasettimanali;
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successivamente “le previsioni della lettera di assunzione suddetta sono state espressamente richiamate nel verbale di accordo sottoscritto dalle parti in sede protetta in data 30-6-11: in tale verbale e’ stata concordata l’assunzione del ricorrente, dal 1-8-11, presso la fiiliale di Cormano ”alle condizioni di cui alla lettera di assunzione che si allega ed e’ parte integrante del presente accordo”.
Continua il Tribunale di Milano ( Leggi sentenza in pdf ):
“Il ricorrente (cioè il lavoratore- ndr) ritiene che la previsione della lettera di assunzione e la relativa validazione in sede protetta non rilevino, in quanto il diritto al riposo nelle festivita e’ diritto inderogabile e solo parzialmente disponibile da parte del lavoratore, che puo’ acconsentire a rinunciarvi solo di volta in volta, in quanto il consenso eventualmente reso una volta per sempre costituirebbe accordo pro futuro, come tale nullo”.
Ma questa tesi viene respinta:
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è vero che la Cassazione ha piu’ volte ribadito la sussistenza di un vero e proprio diritto del lavoratore ad astenersi dal lavoro in occasione delle festivita’ infrasettimanali;
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è vero che la sentenza della Cassazione n. 16592/2015 non precisa se l’accordo tra datore di datore e lavoratore, a cui solo e’ rimessa la rinunciabilita’ del riposo nelle festivita’ infrasettimanali, possa essere unico o debba essere dato volta per volta;
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ma -in mancanza di questa precisazione e valutando il caso concreto- il Tribunale non può non rimarcare che “la rinuncia a tale diritto, derivante dalla sottoscrizione della lettera di assunzione e dalla sottoscrizione del verbale di accordo che tale lettera richiama, non riguarda un diritto futuro ed eventuale e non e’ priva di oggetto, in quanto e’ riferita ad una serie di giorni dell’anno che, come riconosce lo stesso ricorso, sono specificamente individuati dalla legge n. 260/1949”;
Per tutte le considerazioni che precedono la lettera di assunzione ed il verbale di accordo sottoscritto dalle parti hanno -per il giudice- un “evidente valore negoziale” e sono configurabili come vera e propria rinuncia ai sensi dell’art. 2113 c.c.: infatti esse contengono il riferimento a diritti e ragioni concretamente determinati.
In conclusione
Le sentenze di Cassazione confermano che:
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i lavoratori hanno il “diritto soggettivo” di astenersi dal lavoro in occasione delle festività infrasettimanali;
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non esiste un obbligo generale dei lavoratori di effettuare la prestazione nei giorni festivi;
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sono nulle le clausole della contrattazione collettiva che prevedono tale obbligo.
La Cassazione non si è, invece, pronunciata su un aspetto che non è un semplice dettaglio: quando può essere stipulato l’ “accordo individuale azienda-lavoratore” per il lavoro nei giorni festivi e con che modalità (sede protetta ecc.)?
Da qui scaturisce un diverso comportamento dei Tribunali chiamati a pronunciarsi sulla questione.
Da una parte Rovereto afferma che l’accordo non può essere stipulato all’atto dell’assunzione, per l’estrema debolezza -in quella circostanza- della posizione del lavoratore, nè può valere per un periodo indefinito, vista la possibilità che le esigenze della lavoratrice/lavoratore mutino nel tempo.
In controtendenza troviamo la recente sentenza di Milano, la quale mette insieme due accordi, uno all’atto della prima assunzione, l’altro nel momento del trasferimento ad altro punto vendita.
Questo al solo fine di confermare l’esistenza dell’accordo individuale sul lavoro nelle festività, senza interrogarsi sul fatto che, al momento della prima assunzione, il lavoratore è sicuramente in una situazione di estrema debolezza.
Chiaramente questa pronuncia desta preoccupazione, data l’importanza del Tribunale di Milano. Non è escluso, comunque, che prima o poi la Cassazione venga chiamata di nuovo a pronunciarsi.
Ma nello stesso tempo questo significa anche che le organizzazioni sindacali non possono limitarsi a proclamare, di volta in volta, scioperi in occasione delle festività, ma devono assumere iniziative di grande respiro, sia con scioperi anche nazionali, sia con iniziative che coinvolgano Parlamento e partiti politici.
A questo proposito la Uiltucs, nel suo ultimo congresso di Venezia, dopo una approfondita riflessione, ha deciso di avviare l’elaborazione di una propria proposta di legge di iniziativa popolare (1). Ne riparleremo ancora, quindi, nel momento in cui su questa iniziativa sarà chiamata a mobilitarsi tutta l’organizzazione.
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La legge di iniziativa popolare è un istituto mediante il quale i cittadini possono presentare un progetto di legge.
Per la presentazione di questo progetto servono 50 mila firme, ottenute le quali può essere presentato al Presidente di uno dei due rami del Parlamento.
Nel 2018 il Senato ha imposto il termine di tre mesi per la conclusione dei lavori sul testo presentato.