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di Antonio Vargiu

Ancora una volta torniamo a parlare di Franco Loi, questo grande poeta del novecento, che spesso è stato classificato come “dialettale” per sminuirne la sua forza e la sua profondità.
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Lo faremo in due puntate per permettere a tutti di farne una lettura attenta e proficua.
L’occasione ci è data da un sito dal nome un pò strano, “La sepoltura della poesia”. L’ “arcano” è   presto svelato dalla redazione che dichiara:
“Amiamo la letteratura, la poesia e l’arte. Ma da centocinquant’anni i poeti circolano senza aureola,   e quanto alla letteratura, dicono che non si senta troppo bene. Sarà vero? Intanto, prepariamo   ironicamente le nostre esequie per un’arte ancora lungi dall’essere morta…”.
Il sito presenta una sintesi dell’incontro, avvenuto il 21 dicembre 2016, tra il poeta e i ragazzi   dell’associazione di teatro Studio Novecento, incontro che si è subito strutturato come un dialogo   tra lui e il pubblico. Ne sono usciti fuori i motivi più profondi della sua ispirazione, il come e il   perchè si è ritrovato a scrivere versi.
Crediamo che capire dall’interno questi “meccanismi” sia molto interessante anche per i nostri   lettori.

I suoi maestri
Innanzitutto la prima forma artistica che lo ha ispirato non è stata la poesia, ma il teatro e poi la   musica :” …Tra i quindici anni, finita la guerra, e grosso modo i vent’anni, ho ascoltato grande   musica. Avevo mio padre, che era appassionato di musica lirica, e mi portava con lui, perché   entrava gratis, tra l’altro; era nella clacque, quelli che battono le mani, insomma. Ho ascoltato tutto   quello che potevo ascoltare, Mozart, Bach, Vivaldi… Poi ho incominciato a scrivere narrativa.   Perché  mi sono capitati per mano gli autori russi…”.
Solo dopo Franco Loi incomincia a leggere poesie, a partire dai “neoclassici:” …e poi i poeti di fine   ottocento-primi novecento; avevo letto Dante. Ma io Dante l’ho letto proprio come un romanzo.   Dante per me è stata una scoperta straordinaria. Ma quando ho letto il Belli, allora ho capito una   cosa: che la poesia è musica. La parola, è musica, è suono. Ogni parola, è fatta di suono…”.

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Ecco un poeta che scrive utilizzando, per lo più, il dialetto milanese e che si sente “tributario” di Gioacchino Belli, sommo poeta “romanesco”. Una conferma che la poesia è universale e non certo “leghista”.

Come Loi inizia a scrivere poesie.
Il poeta racconta che per lui tutto inizia come un gioco:”E questo è un gioco interessante, perché ti fa sentire il suono delle parole. E la poesia è un sequenza di suoni. Tu hai in mente di raccontare le tue vicende, le storie, le rabbie, le gioie… però quando le scrivi, le scrivi in un modo strano. Io andavo per le stanze recitando i versi, e quando non ce la facevo più con la memoria a tenerli in mente, mi sedevo e scrivevo. Dopo un quarto d’ora, a volte dopo venti minuti, anche. O se no generalmente dopo dieci minuti mi toccava mettermi giù a scrivere, oppure continuavo a girare e a dire ad alta voce le parole che mi venivano, da me, da dentro”.

La poesia come “sogno”.
E’ un altro aspetto importante della poetica di Franco Loi, che così continua:”… la poesia è come il sogno. Non è che tu vai a letto la sera e dici: «Stanotte mi sognerò una bella donna» oppure «mi sognerò il mare, la campagna…». No, tu vai a letto e sogni quello che il tuo inconscio ti suggerisce. Non sei tu con la testa. Non è la tua consapevolezza mentale che scrive la poesia. Zanzotto, una volta, ha detto una cosa che è molto importante, in modo negativo, della sua poesia: «Quando mi viene voglia di scrivere poesie, il primo verso viene da sé; però io mi ritraggo». Cioè: non continuo ad ascoltare l’inconscio. Perché ho paura di essere travolto.
E infatti se uno non ha almeno un’abitudine alla coscienza di sé, a stare attento a se stesso… il pazzo cos’è? Uno che non ha per niente coscienza di sé… Nell’antichità, i grandi templi avevano questa scritta: «conosci te stesso».

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Perché questa è la cosa importante. La conoscenza di se stessi è fondamentale per sopportare, e forse amare, e capire l’altro. Perché la società sta insieme nella comprensione che abbiamo dell’altro. E quindi la comprensione prima di tutto di noi stessi. Perché se no la società non sta in piedi. Si sfascia. La poesia è uno dei mezzi straordinari che abbiamo, di conoscenza di noi stessi. Perché diciamo le cose che ci vengono da dentro. E allora impariamo qualcosa”.

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